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Si fa ancora poco in Italia per arginare e prevenire i dissesti idrogeologici


               dono sorgere argini senza un serio studio sull’impatto che possono

         FOCUS  portare a valle, cementificazione degli alvei e alterazione delle dinami-
               che naturali del fiume, escavazione selvaggia, mera ricostruzione di
               quelle opere che nelle precedenti alluvioni non avevano retto alla piena,
               e che quindi difficilmente reggeranno alle prossime. Non solo, troppo
               spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per conti-
               nuare a costruire nelle aree golenali, come spesso avviene in Piemonte,
               Lombardia e Veneto. A questo si aggiunge una diffusa scarsa attenzio-
               ne verso i fiumi, troppo spesso abbandonati a se stessi, spazi dimenti-
               cati e lasciati in balia dell’illegalità, di cui ci si ricorda solo nelle situazio-
               ni drammatiche determinate dalle piene e dalle alluvioni. Basti pensare
               al medio Piave dove, in barba a ogni legge, alcuni agricoltori hanno de-
               molito e rimosso le arginature per allargare le colture, con il risultato
               che molti paesi si sono ritrovati privi di ogni difesa idraulica.
                  Una fragilità che è quindi conseguenza di un uso del territorio e delle
               acque che troppo spesso continua a non considerare le limitazioni im-
               poste da un rigoroso assetto idrogeologico. Se osserviamo le aree vici-
               no ai fiumi, salta agli occhi l’occupazione crescente delle zone di espan-
               sione naturale con abitazioni, insediamenti industriali, attività agricole e
               zootecniche. In altre parole uno dei principali problemi è l’occupazione
               urbanistica di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può “allar-
               garsi” liberamente. Nonostante questa verità, ormai condivisa e accet-
               tata da tutti, dagli Enti Locali alle comunità scientifiche fino ai cittadini,
               non si nota in Italia una concreta e diffusa inversione di tendenza capa-
               ce di rendere il territorio più sicuro dalle frane e dalle alluvioni, un ritar-
               do che si nota soprattutto in tante  amministrazioni comunali. Il territo-
               rio risulta anzi anno dopo anno sempre più vulnerabile rispetto al pas-
               sato, anche in presenza di piogge non eccezionali.
                  Tra i comuni classificati a rischio idrogeologico dal Ministero
               dell’Ambiente e dall’Upi, ben l’80% ha nel proprio territorio abitazioni
               in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e uno
               su tre presenta in tali aree interi quartieri. Il 61% dei comuni vede addi-
               rittura sorgere in aree a rischio fabbricati industriali, che possono com-
               portare in caso di alluvione, oltre al rischio per le vite dei dipendenti,
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               anche lo sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni.
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