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sostenibilità e la correlata disciplina dell’etica ambientale si affermano sul
          finire  del  XX  secolo.  L’insostenibile  eccesso  di  sottrazione  delle  risorse
          naturali, congiunto alla insostenibile immissione di prodotti tecnologici in
          ambiente  naturale,  hanno  prodotto  l’affermarsi  di  uno  stravolgimento
          materiale con conseguente reazione culturale, quest’ultima incarnata dalla
          nuova  tematica  dell’etica  ambientale.  Tale  disciplina,  fin  da  subito,  si  è
          articolata in quelle due direttrici di fondo, già accennate come presupposto
          della  sostenibilità:  l’una  delineando  un  impianto  etico  coerente  con  il
          soggettivismo moderno, l’altra, di profonda rottura, recuperando categorie
          del sostanzialismo classico. L’autentico discrimine che in rapporto a ciò si è
          andato definendo, è consistito sostanzialmente in una dottrina del valore,
          consegnando alla natura, nella permanenza dell’approccio antropocentrico,
          un  valore  esclusivamente  strumentale,  pur  sempre  funzionale  all’uomo,
          simmetricamente  in  un’ottica  biocentrica,  ecocentrica  o  fisiocentrica,
          scolpendo un valore intrinseco, proprio della natura stessa (UBERTINI, 2015).
          Quanto  all’impostazione  di  un’etica  ambientale  antropocentrica,
          l’autorevole  emblema  si  ravvisa nell’elaborazione  del  filosofo  australiano
          JOHN PASSMORE (1991), in grado di gettare le basi per un approccio etico-
          ambientale in linea con le categorie della modernità. Quanto, viceversa, alla
          visione  alternativa  di  un’etica  ambientale  “sostanzialistica”,  tendente  a
          recuperare  una  dimensione  ontologica  e  finalistica  della natura,  sulla cui
          struttura incardinare il suo valore intrinseco, il simbolo indiscusso di tale
          percorso è rappresentato dal filosofo tedesco HANS JONAS (1990), cui sono
          seguiti  sviluppi  elaborativi  ulteriori,  come  quello  del  filosofo  tedesco
          VITTORIO  HOSLE  (1992).  Quest’ultima  direttrice  di  etica  ambientale,
          costitutivamente alternativa ai dettami della modernità, tende ad articolarsi
          in più aspetti, in relazione alla centralità rispettivamente delle forme di vita
          (TAYLOR,  1986),  dell’ambiente  nel  suo  complesso  (NAESS,  1994)  e  della
          natura nel suo generale sviluppo (MEYER - ABICH, 1993), quali fini in sé e
          quindi valori in sé. Da una parte, in sostanza, la natura consistente in forme
          geometriche    e    dinamiche    meccanicistiche,    la    famosa    res    extensa
          (CARTESIO, 2014), per ciò stesso priva di un valore proprio al di là di quello
          strumentale, d’altra parte il recupero dell’Essere al posto del diffuso ente
          (HEIDEGGER, 2010),   in   cui   la   natura   risulta   animata   da   vis  insita,   da



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