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L’arte di fare il carbone nel Monte di Portofino


            insieme ai Chiti, entrambi carbonai provenienti dalla provincia di Pistoia,
            hanno condotto l’attività sino al 1951.
               Nonostante si trattasse di famiglie forestiere, si erano inserite bene nel
            locale tessuto sociale, sia per averne assorbito le consuetudini, sia grazie ai
            guadagni ottenuti dall’avere introdotto e gestito in proprio una redditizia
            attività nuova nel Monte, di cui erano i soli ad avere pratica.
               La presenza di una estesa proprietà nel comune di Camogli, derivata da
            antica enfiteusi, nella quale Iozzelli aveva ottenuto l’appalto di fare il car-
            bone, ha senz’altro facilitato il lavoro e la sua continuità: trattare con un
            unico proprietario, che disponesse di estese superfici boscate, garantiva
            siti idonei e soddisfacenti ricavi. Così i carbonai toscani condussero l’atti-
            vità, almeno prima della guerra, limitatamente ai suddetti terreni. Appare
            infatti improbabile che i possessori di piccoli appezzamenti boschivi
            rinunciassero ai vari proventi diretti indispensabili all’economia familiare,
            quali legna da ardere, paleria, frutti, strame, a favore dei carbonai.
               Dal 1925 al 1929 la carbonizzazione veniva condotta secondo le usan-
            ze locali seguite dai carbonai; in seguito all’emanazione del Regolamento
            contenente norme contro gli incendi nei boschi, l’esperienza professiona-
            le soggettiva dovette adeguarsi alle prescrizioni imposte in tutta la provin-
            cia, relative ai tempi, ai modi ed ai requisiti per la carbonizzazione.
               Con l’istituzione dell’Ente Autonomo del Monte di Portofino, avvenu-
            ta nel 1935, l’utilizzo dei boschi subì nuove limitazioni e controlli e, se non
            fosse subentrata la guerra, la possibilità di fare il carbone sarebbe stata
            notevolmente ridotta, considerati i divieti previsti dai Criteri di Massima.
               Le Guardie del Monte controllavano il rispetto delle nuove norme di
            salvaguardia, impedendo il taglio degli alberi migliori e il dicioccamento
            degli arbusti.
               Chi faceva il carbone aveva tutta la convenienza a non perdere prema-
            turamente nel fuoco la materia prima fonte di reddito, per cui a memoria
            dei carbonai, durante la cottura del carbone si verificò un unico incendio,
            presto spento, in località Caselle, sopra a San Fruttuoso.
               La criticità degli ultimi anni di guerra, dal 1943 al 1945, incentivò la
            produzione del carbone di legna, tanto che furono concesse agevolazioni
            straordinarie, come l’esonero dal servizio militare e la doppia razione di
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            viveri a favore di chi vi contribuisse. Non si badò più neppure a rispetta-
            re le norme di taglio, sino ad allora accettate e generalmente rispettate: si
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