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La riconquista della natura per una nuova religiosità ecologica
verso una contrapposizione dialettica rispetto a quelli che li precedevano
e li precedono, e che essi hanno superato o vanno superando (in termini
sequenziali se non valutativi) nell’ininterrotto processo del divenire.
Eppure, a dispetto di questa razionale linearità, una più approfondita ana-
lisi dei dati mostra esistazioni, deviazioni, o passi indierto, e rende visibi-
le una quantità di residui che rischiano di minare la struttura di un siste-
ma, se non di escluderne la possibilità. Evitando ora di addentrarci in
complesse considerazioni di filosofia della storia, sia sufficiente questa
constatazione per renderci conto di alcune contraddizioni di una moder-
nità che mescola a un vigente entusiasmo per l’evoluzione della tecnica,
inattuali nostalgie per utopiche naturalità, alle certezze scientifiche fonda-
te sull’oggettività del fenomeno (ex opere operato), la soggettività dell’opera-
tore (operantis), alle calcolabili certezze delle quantità, le incertezze umora-
li degli elementi qualitativi.
Rimanendo al nostro Occidente, constatiamo che dopo l’entusiasmo
per la modernità e la tecnica quale suo emblema (la lunga età del
Positivismo con tutti i suoi residui attuali) si delinea un fronte aspramen-
te critico, rappresentato in particolare da Spengler (Il tramonto dell’Occidente,
1922), da Guénon (La crisi del mondo moderno, 1927) e da Evola (Rivolta con-
tro il mondo moderno, 1934). Al concetto di progresso questi contrappone-
vano ora il principio di una originaria Tradizione, ora di un relativismo
assoluto, in base al quale la civiltà occidentale perdeva la sua centralità non
solo politica ma soprattutto logica, ridotta a una fra le tante possibili pro-
spettive per osservare ed esprimere l’Essere.
Eppure in altri campi il Positivismo e i suoi valori trovavano un cam-
mino sgombro dinanzi alla loro avanzata: se una antropologia culturale
ormai convinta della molteplicità delle culture evitava classificazioni gerar-
chiche, la conquista coloniale procedeva nella convinzione che, se non in
teoria, nei fatti i “primitivi” esistevano e che bisognava aiutarli, anche a
costo di usare la forza. In altre parole, a dispetto dell’idea che un nuovo
fenomeno debba soppiantarne uno privato di forza, coesistevano nel
corso del XX secolo residui di quell’entusiastico progressismo di radice
ottocentesca con le più aspre critiche nei confronti di una modernità basa-
ta sull’“irrazionale” iper-razionalismo della tecnica.
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Altro momento della critica al tecnicismo moderno, particolarmente
significativo, si aveva a partire dagli anni Sessanta, nell’ambito dell’effi-
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