Page 33 - Supplemento Rassegna 2017-3
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INTERVENTO DEL PROF. SALVATORE LUPO


             sinergia tra i metodi repressivi adottati sui due versanti, la creazione di nuovi
             organismi  specializzati,  e  naturalmente  di  nuove  leggi  -  quelle  sui  cosiddetti
             pentiti e sull’associazionismo mafioso innanzitutto. Su questa base si ottennero
             i successi degli anni Ottanta sul fronte della lotta a Cosa nostra, a cominciare
             dal maxiprocesso. Certo, furono anch’essi pagati a prezzo di sangue, in un furi-
             bondo  scontro  tra  sfida  e  risposta.  Gli  assassini  di  Chinnici,  Falcone  e
             Borsellino - teorici di nuovi metodi di organizzazione degli uffici giudiziari e
             protagonisti della loro applicazione - sono di per sé indicativi del terreno su cui
             si svolse lo scontro.
                  Cosa nostra appare oggi indebolita. La stagione dei delitti eccellenti sem-
             bra per fortuna esaurita da più di vent’anni. Anche la conflittualità interna ai
             gruppi mafiosi è ridotta al minimo, e in alcuni anni di questo inizio secolo XXI
             addirittura non ci sono stati morti in provincia di Palermo per causa di crimi-
             nalità organizzata. Altre mafie (basti pensare alla ‘ndrangheta) hanno superato
             quella siciliana per pericolosità sullo scenario nazionale. Le sue relazioni con la
             consorella americana sembrano al minimo storico, e né l’una né l’altra svolgono
             più quel ruolo centrale nei traffici illeciti di scala nazionale e soprattutto inter-
             nazionale. Nel complesso, la repressione subita da Cosa nostra è stata storica-
             mente  senza  precedenti,  enormemente  più  dura  di  quella  tanto  celebrata  di
             periodo fascista. Possiamo tranquillamente dire che il terrorismo corleonese si
             è rivelato controproducente. Ha creato lo spazio per lo sviluppo di poderosi
             movimenti antimafia. Ha costretto le istituzioni a reagire per un meccanismo -
             se vogliamo elementare - di sfida-risposta. Ha fatto sì che persino i membri
             dell’establishment  isolano  abbandonassero  il  negazionismo,  che  tradizional-
             mente li portava a dire: la mafia non esiste o, se pure esiste, non rappresenta un
             problema per la gente “per bene”.
                  Possiamo per questo considerarla sconfitta, la mafia siciliana? No, pur-
             troppo, perché la pericolosità di una tal forma (consolidata, ramificata) di cri-
             minalità organizzata non si misura solo dal sangue versato (anche da quello,
             certo). No perché, ragionando in termini etico-politici, il paesaggio isolano non
             appare risanato: direi piuttosto che esso è pesantemente inquinato delle macerie
             del passato, pezzi disorganici di politica e di economia sporche rimasti sul ter-
             reno, residuati bellici che nessuno ha saputo rimuovere, cagnolazzi senza più

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