Page 35 - Supplemento Rassegna 2017-3
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Intervento del Dott. Francesco la Licata
             Editorialista del quotidiano “La Stampa”, già de “L’Ora” di Palermo


                  Grazie, premetto che non sono specialista di nulla, nel senso che per 40
             anni ho fatto il mestiere di cronista, prima a Palermo, poi a Roma. Quindi i miei
             interventi  sono,  più  che  relazioni,  testimonianze  su  quello  che  è  avvenuto.
             Quello su dalla Chiesa, in particolare, è un argomento che mi è caro proprio
             perché lo abbiamo vissuto, l’ho vissuto fin da quando il Generale comandava la
             Legione di Palermo. Poi l’ho rivisto quando, nell’82, arrivò nella nostra città con
             la carica di Prefetto dimezzato o, meglio, di super Prefetto dimezzato e avevo
             imparato a rispettarlo, pur essendo su posizioni diverse.
                  Infatti, quando il Generale comandava la Legione di Palermo, io lavoravo
             per  un  quotidiano  che  era  dell’opposizione,  quindi,  teoricamente  saremmo
             dovuti stare su due barricate diverse e, invece, in qualche modo non riuscivamo
             a starci, perché l’obiettivo comune era combattere la mafia. Un’impresa titanica
             e complicata, poiché la ma fia non era, e questo il Generale già lo aveva detto
             chiaramente, non era solo la coppola storta e la lupara, e il vestito di velluto, ma
             era tutto il coté che stava attorno a questo fenomeno che era sì criminale, ma
             era sociale, antropologico, un fenomeno difficile da decifrare. Noi credo che
             dobbiamo essere grati, noi siciliani dico, dobbiamo essere grati al sacrificio del
             Generale dalla Chiesa, perché proprio con questa terra lui ha avuto un rapporto
             particolare. Basti dire che dalla Chiesa è morto in una terra che non era la sua,
             dove si trovava comandato da uno Stato, che in passato aveva avuto un atteg-
             giamento, diciamo eufemisticamente, altalenante circa l’impegno da profondere
             nel tentativo, non di battere, ma quanto meno di contenere il fenomeno mafio-
             so.  Atteggiamento  altalenante  nei  confronti  di  un’organizzazione  criminale
             unica per la sua capacità di invasività, per l’assoluta facilità nel creare consensi
             e occupare le Istituzioni e la stessa vita quotidiana dei cittadini, perché l’aspetto
             più mostruoso della mafia è la sua capacita di governare le famiglie, gli interessi
             familiari di milioni di siciliani.
                  Si  dice  che  i  mafiosi  siano  5.000,  le  persone  per  bene  di  conseguenza
             dovrebbero essere più di sei milioni, perciò non si riesce a capire come questa
             sparuta minoranza di delinquenti assassini riesca a sopraffare quella maggioranza.

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