Page 38 - Supplemento Rassegna 2017-3
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CARLO ALBERTO DALLA CHIESA: LA LOTTA DELL’ARMA ALLA MAFIA



                    Erano tempi duri quelli, perché la borghesia mafiosa, per usare un termine
               che adesso va molto di moda, sapeva come difendersi, c’erano le cancellerie dei
               tribunali, c’erano personaggi infedeli delle Istituzioni, c’erano avvocati disponi-
               bili, c’era la lobby dei professionisti, che facevano a gara per fare quadrato attor-
               no agli interessi mafiosi. Sono proprio quelli che dalla Chiesa andò a toccare nel
               momento  in  cui  rilasciava  la  ormai  famosissima  intervista  a  Giorgio  Bocca,
               tirando in ballo il nervo scoperto che nessuno osava pronunciare in quel perio-
               do:  i  cugini  Salvo  di  Palermo,  i  Cavalieri  del  lavoro  di  Catania,  con  nomi  e
               cognomi.
                    Quell’intervista, forse non del tutto sbagliando, abbiamo imparato a cata-
               logarla come una sorta di atto di morte del Generale dalla Chiesa. E non è
               casuale che quando parlo di questi fatti, in particolare delle denunce pubbliche
               di alcune delle vittime della mafia, mi venga poi alla mente un altro eroe sicilia-
               no che morì anni dopo, anche lui dopo avere osato nominare i Cavalieri del
               lavoro e i Salvo. Sto parlano del giornalista Pippo Fava di Catania, anche lui
               “responsabile” di aver rilasciato un’intervista, questa volta televisiva, credo a
               Enzo Biagi, che andò in onda su Rete 4. Anche Fava, dunque, con grande disin-
               voltura e con grande tranquillità, cercava di spostare l’attenzione dai bassifondi
               della mafia verso i piani alti e il centro del potere politico, anche nazionale.
               Sostenendo giustamente che, fino a quando non fosse stato possibile intaccare
               il nervo, il potere di questa economia illegale, non si sarebbero fatti dei passi
               avanti significativi.
                    Dalla Chiesa arriva poi a Palermo nell’82, in un clima da guerra, da guerra
               civile. Io ricordo perfettamente il Sindaco di Palermo che si rifiuta di andare a
               salutarlo dicendo, asserendo che, siccome lui era il Sindaco e dalla Chiesa, oltre
               che sabaudo, era pure ospite, toccava al Prefetto andare al Comune a rendere
               omaggio  al  rappresentante  del  popolo.  Questi  possono  sembrare  episodi  di
               scarsa importanza, ma non lo sono, perché è forte, invece, il segnale che pro-
               rompe da questo atteggiamento. I sorrisetti, le critiche a dalla Chiesa perché
               arrivando all’aeroporto prende un taxi e non la macchina con la scorta: «Ah chi
               si crede di essere?». Le maldicenze, i sorrisetti per la moglie giovane, anche que-
               sto  argomento  hanno  utilizzato  per,  come  dire,  metterlo  in  mora  di  fronte
               all’opinione pubblica palermitana. Lui, anche questa volta, sapeva perfettamen-

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