Page 28 - Supplemento Rassegna 2017-2
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II PANEL: L’ARMA DEI CARABINIERI ALL’ESTERO:
                             L’EVOLUZIONE DEI CONCETTI E DEGLI SCENARI



               attori diversi, attori di livello politico, le grandi Organizzazioni Internazionali,
               la diplomazia, eventualmente l’intervento dei militari se la situazione è tale da
               richiederlo.
                    Inoltre, ma ciò non da tantissimi anni, anche un possibile intervento di
               polizia con le capacità di sostituzione o di rinforzo e, in aggiunta, di dispiega-
               mento di tutta una serie di strumenti politici che possono essere rappresentati
               dallo Special Representative o dall’Inviato speciale, dalle attività di capacity buil-
               ding,  di  Security  Sector  Reform,  di  Disarmament  Demobilization  and  Reintegration
               (DDR) e così via.
                    Ma dove nasce questo concetto più complesso del fare missioni di pace,
               dell’intervenire in zone di crisi con una serie di strumenti diversi? Esso nasce
               proprio  dagli  scarsi  risultati,  per  non  dire  il  fallimento,  delle  operazioni  in
               Somalia, prima, così come dalle difficoltà riscontrate in Bosnia fino ad un certo
               punto, nel tentare di pacificare la situazione. Nasce, quindi, da una considera-
               zione fatta sul terreno, secondo la quale non una sola parte, non un solo stru-
               mento poteva essere sufficiente per creare un ambiente sicuro. Ecco perché, in
               buona sostanza, il nostro ragionamento cominciò vent’anni fa, momento stori-
               co in cui fu cambiato il modo di concepire gli interventi di gestione delle crisi.
                    Nel 1997 la NATO, responsabile con la missione IFOR della sicurezza in

               Bosnia Erzegovina (successivamente SFOR), si rende conto dell’esistenza di un
               “gap di sicurezza” importante, che sussiste tra l’impiego:
                    ˗ delle forze militari schierate dall’Alleanza, che sono numerose ben equi-
               paggiate e ben armate;
                    ˗ della polizia locale, che è stata preparata e viene seguita nel suo sviluppo
               dalle Nazioni Unite tramite la IPTF (International Police Task Force), ma ha
               grossi problemi di credibilità e funzionalità.
                    La NATO, che con gli strumenti a disposizione non è in grado di gestire
               la  sicurezza  di  cui  è  responsabile  nella  sua  interezza,  decide  di  tentare  un
               approccio diverso, cioè di dotarsi di una capacità di polizia che vada a colmare
               tale gap.
                    Parlare di questo argomento, per ragioni che vedremo nel tempo, è per me
               anche un onore poiché, anche se molti non lo ricordano, a questo tavolo siede


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