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GIURISPRUDENZA
sivamente alle quali l’interessato non sia più incorso in episodi tali da far dubitare della
sua affidabilità, che renda detta norma compatibile con il quadro dei valori democratici,
personalistici e di rieducazione del condannato, consacrati nella Costituzione.
Si tratta, però, di un’interpretazione formatosi su casi anomali, aventi ad oggetto la
revoca dell’autorizzazione, concessa (ed anche rinnovata) in precedenza.
Solo con l’ultima pronunzia (citata Sentenza n. 3719/2013), si afferma un principio di
portata generale, nel senso che «l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio
di quelle condanne penali, viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilita-
zione (ovvero l’estinzione ex art. 445, c.p.p.); più precisamente, viene meno l’automa-
tismo. La condanna, per quanto remota e superata dalla riabilitazione, non perde la
sua rilevanza in senso assoluto, ma perde l’automatismo preclusivo».
L’orientamento più elastico è stato eseguito da parte della giurisprudenza amministra-
tiva di primo grado, ma contrastata da altra, tra cui giova citare il T.A.R. Veneto (Sez.
III, Sent., 24-10-2013, n. 1215), -«tale effetto della riabilitazione non è previsto né, per
le autorizzazioni di polizia in generale, dalle successive disposizioni del citato art. 11
né, tanto meno, per la licenza di portare ormai in particolare, dall’art. 43 TULPS
Quest’ultimo articolo, applicato al caso de quo., dispone letteralmente che “...non può
essere conceduta la licenza di portare armi: a) a chi ha riportato condanna alla reclu-
sione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto,
rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione.... “ (cfr.
CdS, I, 6.4.05, n.. 1200). E quindi evidente la coincidenza, posta a fiondamento del
contestato diniego, tra la fattispecie concreta e la fattispecie astratta ex art. 43
TULPS».
A fronte di questo contrasto, il Ministero prende posizione m favore dell’orientamento
tradizionale, segnalando talune criticità dell’opposta tesi.
In primo luogo l’incoerenza con la sentenza costituzionale 16-12-1993, n. 440, in cui la
Corte evidenziò come l’articolo 43 costituisce norma speciale in materia e che esistono
delle situazioni preclusive in via assoluta che, se evocate, determinano l’inutilità del
giudizio perché assorbenti rispetto all’accertamento della buona condotta.
In secondo luogo le ricadute negative sull’azione amministrativa derivanti dal ricono-
scimento di una discrezionalità nel rilascio anche nelle ipotesi di gravi reati, in cui all’in-
teresse del reo al rilascio di un porto d’armi si contrappongono altri interessi di pari
rango, quali la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, il diritto all’incolumità dei
terzi e la funzione general-preventiva della norma quale deterrente alla commissione
di reati, che il legislatore ben può far prevalere, considerato innanzitutto che non esiste
nel nostro ordinamento il diritto al porto d’armi e, secondariamente, che la tipologia di
reati per i quali esso opera è circoscritta a quelli che destano il maggior allarme sociale
e si connotano per particolari modalità di commissione.
In terzo luogo profilo le ricadute sotto il profilo di responsabilità per il funzionario inca-
ricato del procedimento di rilascio.
Preliminarmente si osserva che, rimettendo alle valutazioni discrezionali il rilascio o
meno della licenza, si fomenta il sorgere di orientamenti differenti da un’Autorità locale
di p.s. ad un’altra, cosa che, nelle intenzioni del legislatore, il primo comma dell’art. 43
T.U.L.P.S. intendeva evitare, con l’ulteriore rischio di incertezza generata da prevedibili
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