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I CARABINIERI DEL 1944 - LE RESISTENZE AL REGIME COLLABORAZIONISTA
Nei riguardi dell’Arma, aggiungeva, ufficiali tedeschi si mostrarono, addi-
rittura, ancora riguardosi, non cessando neppure - con evidente comprensione della apoliti-
cità delle sue attribuzioni - di usare l’appellativo REALI nell’indirizzarsi ai vari comandi
di carabinieri.
La situazione peggiorò immediatamente dopo la restaurazione del partito
fascista. Gli esponenti del neofascismo avversarono subito l’Arma con ogni
mezzo, iniziando una campagna di denigrazione che degenerava presto in aperta ostilità ed
infine in accanita persecuzione. […] Si iniziò così il doloroso calvario dell’Arma: calvario
che doveva finire col determinare - in breve volger di tempo - prima il collasso morale, poi l’an-
nientamento materiale. A far precipitare la crisi all’interno dell’Arma fu, alla fine
del 1943, la notizia che insieme alla milizia volontaria per la sicurezza nazionale e al
corpo di polizia dell’Africa Italiana l’Arma avrebbe dovuto formare la cosiddetta Guardia
Nazionale Repubblicana. Per indurre i carabinieri ad accettare l’inserimento nella
nuova istituzione militare della Repubblica sociale, fu promesso che avrebbero
conservato intatta la loro tradizionale fisionomia, immutate le loro funzioni, inalterate la
loro compattezza organica e persino la loro divisa. Promesse e lusinghe ebbero solo per
qualche mese l’effetto di riuscire a puntellare, per così dire, il già traballante edificio e
a ritardarne il definitivo sfacelo, mentre dall’Italia governata dalla monarchia sotto il
controllo degli Alleati, il comandante generale dei CCRR, il generale Giuseppe
Pièche, rivolgeva radiofonici appelli ai carabinieri per esortarli a rimanere comunque al
loro posto, continuando a fare il loro dovere d’italiano [sic] e badando solo a non macchiarsi
con azioni in contrasto con tali doveri.
I carabinieri ancora in servizio nella RSI, circa 44.000, furono forzatamente
assorbiti insieme nella nuova organizzazione della Guardia Nazionale
Repubblicana insieme con la MVSN e la PAI, la polizia dell’Africa italiana . Il 6
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febbraio 1944, continuava il racconto del colonnello De Vita, i carabinieri della
legione di Padova furono costretti al doloroso passo del giuramento di fedeltà alla pseu-
do-repubblica sociale italiana, un giuramento che nessuno sembrò, in un primo tempo dispo-
sto a prestare, ma al quale - con compattezza quasi assoluta - tutti poi si piegarono. Tale
passo, riferiva il colonnello, era attribuito a vari motivi: secondo alcuni ufficiali di
grado anche elevato, esso era avvenuto in seguito a disposizioni del Comitato di Liberazione
Nazionale di Padova, unico rappresentante del Governo legittimo nelle terre invase. Altri lo
attribuivano alla diffusa persuasione che si trattasse di atto puramente formale, vuoto di ogni
contenuto e viziato di nullità dall’azione intimidatoria esercitata dalla presunta esistenza di
segrete circolari in base alle quali - si diceva - chi non avesse giurato avrebbe dovuto essere segna-
lato all’autorità repubblicana e a quella nazista. Si disse anche che in qualche caso, il
giuramento fu conseguenza di pressioni o addirittura di coartazione morale di superiori.
35 Cfr. Giampaolo Pansa, Il gladio e l’alloro. L’esercito di Salò, Milano, Mondadori, 1991, pp. 11 ss.
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