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ITALIA 1943-1945: SI SFASCIÒ LO STATO, NON MORÌ LA PATRIA




                    Quale che fosse il motivo, restava il fatto che il giuramento fu prestato, e che ad
               esso potettero in massima parte sottrarsi soltanto i militari dell’Arma della provincia di Belluno
               - che avulsa dalla pseudo repubblica italiana costituiva la cosiddetta zona delle Prealpi, sotto il
               diritto controllo di demarcazione pressa poco corrispondente ai confini orientali della provincie
               di Venezia, Treviso e Belluno: regione che veniva denominata Litorale Adriatico e che - come
               quella della Prealpi - fin dal gennaio 1944 era stata annessa de facto al territorio tedesco.
                    Quanto al significato del giuramento, il colonnello precisava, che durante
               la cerimonia a Padova, i militari dell’Arma invece di rispondere col rituale Lo Giuro!
               all’ufficiale più elevato in grado presente all’adunata gridarono in gran parte: Savoia!: episo-
               dio che fu da tutti attribuito - per non suscitare gravi reazioni - ad involontario errore com-
               messo dalla truppa per forza di abitudine, e che come tale venne facilmente messo a tacere.
               Tuttavia, proseguiva il colonnello, il giuramento al governo repubblicano, inve-
               ce di segnare il definitivo asservimento dell’Arma allo pseudo governo repubblicano, parve
               accelerarne lo sfacelo, perché in breve tempo, proprio da quell’epoca ricominciarono le
               defezioni, come se fossero state determinate da una generale, spontanea resipiscenza.
                    Le defezioni si moltiplicarono quando fu imposta la modificazione della
               divisa dell’Arma con l’adozione della camicia nera in luogo di quella grigio-verde,
               delle fiamme nere al posto degli alamari, e di doppie M metalliche e di emblemi fascisti
               invece della tradizionale granata con fiamma. Cosa più importante e più significativa,
               sottolineava il colonnello, l’ostilità dei carabinieri a tale estreme umiliazioni fu aperta, e
               non consistette soltanto nella fredda, pertinace disobbedienza agli ordini - poco dopo succedutisi
               - di estendere senz’altro a tutti gli appartenenti all’Arma l’aborrita divisa fascista ma si estin-
               sero [sic] anche in singoli atti di reazione. Per esempio, a Venezia, i carabinieri della
               caserma capoluogo accolsero con urla e fischi e lo obbligarono ad uscire il mare-
               sciallo maggiore che vi si era recato sfoggiando la nuova uniforme; sorte peggiore
               toccò al piantone personale del comandante del gruppo, che giunto in luogo - da
               Brescia  -  e  vestito  da  guardia  nazionale  repubblicana,  venne  addirittura  denudato. Per il
               colonnello, il rifiuto della divisa fascista e gli atti di reazione descritti dimostrava-
               no  quanto  attaccamento  alle  tradizionali  istituzioni  rimanessero  [sic]  ancora  nei  militari
               dell’Arma, malgrado avvenimenti superiori alle loro forze li avessero ormai travolti. Ma ancor
               più lo dimostravano gli episodi di più o meno aperta ribellione alla tirannide nazifascista
               qua e là verificatisi come vivide fiamme nelle tenebre. E il colonnello citò il comportamen-
               to dell’appuntato Salvatore Serra della stazione di Trecenta (Rovigo) condannato
               a morte dopo essere stato arrestato per aver detto IL MIO MOSCHETTO SPARERÀ
               PER IL MIO RE, E MAI PER LA REPUBBLICA. E aggiunse che molti carabinieri erano
               rimasti nella GNR col proposito di continuare la loro missione equilibratrice […] in
               favore  delle  popolazioni  oppresse  dal  nazifascismo,  ma  rifiutarono  di  partecipare  ai
               rastrellamenti dei partigiani, o se costretti a intervenire, rimanevano passivi.


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