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I CARABINIERI DEL 1944 - LE RESISTENZE AL REGIME COLLABORAZIONISTA



                  Tali comportamenti, analoghi a quelli tenuti dai carabinieri in altre regioni
             sottoposte alla RSI, dimostravano il fallimento dello “sposalizio” fra l’Arma e
             la Milizia, come era stato chiamato dalla pubblicistica fascista . La reazione di
                                                                        36
             Mussolini fu di procedere alla totale eliminazione degli ex carabinieri dal territorio della
             pseudo repubblica sociale italiana. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 1944,
             contingenti  più  o  meno  coattivamente  messi  insieme  erano  stati  avviati  a  scaglioni  in
             Germania per prestarvi (si disse) servizio d’ordine pubblico insieme a reparti della polizia
             tedesca, quando - di fronte alla crescente resistenza dei militari alle pressioni esercitate dai
             superiori per ottenere la partenza volontaria - fu improvvisamente adottata la deportazione
             in massa. Nella notte fra il 4 e il 5 agosto, reparti delle SS e delle Brigate nere
             invasero le caserme e le abitazioni dei carabinieri asportando quanto era di pertinen-
             za degli ex carabinieri, saccheggiando i loro alloggi; e violentemente strappando mariti e padri
             dagli affetti della famiglia - in condizioni, talvolta, più che pietose - li tradussero dapprima
             in un provvisorio campo di concentramento presso Verona, per avviarli in secondo tempo nel
             territorio del Reich. Non era possibile avere un esatto computo numerico della col-
             lettiva,  spietata  deportazione,  operata  anche  in  danno  di  molti  militari  in  congedo,  che
             ammontavano ad alcune centinaia, ma il colonello riteneva comunque che non
             pochi riuscirono a sottrarsi alla cattura o a fuggire durante il viaggio. Dopo aver elimi-
             nato l’intera legione dei carabinieri del Veneto, fu piacevole sport dei comandi territo-
             riale repubblicani la caccia al carabiniere rimasto miracolosamente indisturbato. Furono
             innumerevoli le persecuzioni subite dai carabinieri nel Veneto, da parte della Brigate
             nere: aver fatto parte dell’Arma era motivo per se stesso sufficiente a giustificare i più
             brutali maltrattamenti, l’arresto e la deportazione, quando non si trattava addirittura di ese-
             cuzione sommaria. Fu quanto accadde al tenente di complemento Luigi Giarnieri,
             napoletano, catturato durante un rastrellamento sul massiccio del Grappa nel
             settembre  1944,  e  tradotto  nella  caserma  delle  Brigate  nere  a  Crespano  del
             Grappa, dove fu ferocemente percosso a sangue, torturato e seviziato siccome capo dei ribel-
             li. Poi fu trascinato nella piazza di Crespano e impiccato, e il suo corpo fu lascia-
             to in esposizione per 24 ore: Di fronte alla morte il tenente Giarnieri tenne contegno
             virile e sereno, veramente degno di un soldato. Simile fu il comportamento di un cara-
             binieri non più in servizio, Salvatore Calì, impiccato dalle Brigate nere il 17
             dicembre a Corbola (Rovigo). Quasi tutti i sottufficiali e militari dell’Arma in
             congedo o sbandati ripreso i contatti con i loro ufficiali allontanati dal servizio,
             formando poco a poco una vera organizzazione clandestina; molti si iscrissero alle for-
             mazioni partigiane combattendo valorosamente.
                  Il colonnello non taceva nel suo rapporto che vi furono anche carabinieri,
             pochissimi i quali deviarono dal retto sentiero vendendosi al nazifascismo e passando persino

             36   Pansa, Il gladio e l’alloro cit., pp.15-18.

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