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LINGUAGGIO VIOLENTO E PAROLE D’ODIO




                    È proprio in quella “scelta odiosa” che risiede, a mio avviso, l’analisi vera
               del linguaggio odioso e distruttivo impiegato nella comunicazione. La violenza
               si “dipana nella rapporto di tensione tra Ego e Alter, tra amico e nemico, tra
               Interno ed Esterno” , rimarcando il suo principio costruttivo che risiede nella
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               negatività  dell’altro,  portando  all’invasione  di  influssi  esterni  che  risiedono
               anche nell’espressività del linguaggio e nelle parole scelte. Questo aspetto è tal-
               mente violento che travolge la persona e penetra nella sua interiorità, nel pro-
               fondo del suo sentire, senza chiederne il permesso e senza considerare il valore
               della persona in quanto tale.
                    Ecco che la violenza verbale si configura come una frattura con il mondo
               esterno, che viene formalizzata proprio con l’odiosità delle parole e la carica di
               odio racchiusa in esse.
                    È quindi una spaccatura che lascia profondi solchi dentro alla persona che
               recepisce tale violenza, come l’odio che arriva e penetra dentro ai pensieri pro-
               vando risentimento, giungono anche la paura e gli stati di disagio a volte anche
               depressivi, proprio perché la violenza genera strappi inconciliabili con il pensie-
               ro costruttivo e con la visione serena della propria quotidianità. È bene ricor-
               dare che la violenza pone le vittime in una condizione di privazione della loro
               capacità di agire, anche se questa è perpetrata verbalmente.
                    Le parole odiose spingono la vittima al pensiero costante di ciò che l’ha
               ferita, portandola a limitare non solo la sua normale espressione di realtà e di
               vita, ma conducendo anche alla distruzione dei sogni, delle aspirazioni del vero
               io e alla distruzione di sé stessa.
                    Così la violenza verbale va letta anche come costrizione a essere ciò che
               non si è, va letta come agire violento che limita e distrugge il vero io a tal punto
               da diventare atto portatore di rabbia e odio che contamina e determina la libertà
               e la capacità relazionale della vittima.
                    Ogni  aumento  di  potere  di  hate  speech  permette  l’aumento  dello  spazio
               dell’odio, delle azioni violente e della distruzione dello spazio personale e della
               libertà sana di pensiero ed espressione di ciò che si è.
                    Il linguaggio verbale violento, anche quello più sottile e subdolo, crea un
               effetto negativo e privante, proprio perché tale violenza spesso è indirizzata a
               chi è portatore di interiorità, di pensiero critico e di dialogo qualificato.
                    Le vittime di tale violenza non sono solo persone, ma anche comunità e
               sistemi sociali, che vengono presi di mira proprio per svuotare il sé che le rap-
               presenta, la storia, la cultura e la loro vera natura. Una violenza verbale che si
               pone come obiettivo la distruzione del valore della persona.
               1    Byung-Chul Han, 2021, p. 97.

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