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                  Una complessità di parole a disposizione di chi le utilizza, di che le sente
             e le legge in ogni ora del giorno e della notte, registrazioni che vengono travolte
             da like e commenti altrettanto odiosi, interminabili, dove il “tribunale oratorio”
             che decide è la continua violenza comportamentale delle persone, la continua
             espressività e ossessività compulsiva di odio che racchiude ogni parola, prima
             ancora di tradursi in gesto.
                  La  propaganda  dell’odio  a  parole  ha  preso  notevolmente  spazio  nel
             corso degli anni, una propaganda politica di intenti dispregiativi che hanno
             contribuito ad alzare il livello della tollerabilità dello stesso sempre più in
             alto, tanto da diventare nel percepito delle persone prevedibile e “quasi nor-
             male”.
                  È proprio nel “quasi normale” che si gioca tutto lo scenario del contrad-
             dittorio dei talk show televisivi e dei dibattiti in rete.
                  Non si trova mai un punto di fermo, uno stop, che faccia prevalere una
             ragionevole consapevolezza espressiva, quasi fosse un aspetto da non valutare
             e prendere in considerazione, proprio per quel “quasi normale” a cui la società
             è abituata, quasi anestetizzata nel profondo.
                  La rete ha sicuramente contribuito a lasciare un ulteriore segno in tale lin-
             guaggio, ha permesso e legittimato nel tempo una modalità comunicativa com-
             posta di esaltazioni e crociate mediatiche, dove si gioca una vittoria che viene
             assegnata a chi urla più forte, a chi è più violento, a chi, verbalizzando l’odio,
             giunge ad aggredire con ferocia il suo interlocutore fino ad arrivare a ucciderlo
             con le parole.
                  Si assiste in diretta all’omicidio nel cyberspazio, dove la vittima o le vitti-
             me, non trovano conforto, sostegno o aiuto, ma anzi vengono ulteriormente
             attaccate proprio perché vittime, non considerate meritevoli di difesa o peggio
             ancora di vivere.
                  Le parole nella rete assumono un’oratoria ridondante dove si esalta il male,
             portandolo a rappresentarsi in ogni sua forma, non solo linguistica, ma anche
             raffigurata in immagini o video.
                  Questo tipo di rappresentazione fa da cornice, assumendo una responsa-
             bilità comunicativa dell’impatto visivo, oltre che della semplice ricezione e let-
             tura di un messaggio.
                  Quel contatto che diventa collisione di immagini e parole, contribuendo a
             genare e a rafforzare la potenza delle parole odiose e dello “spirito odioso” in
             esse racchiuso.
                  All’interno di quel genere di linguaggio vi è una scelta odiosa che si tradu-
             ce nel perché certe affermazioni vengono preferite e utilizzate.

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