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LINGUAGGIO VIOLENTO E PAROLE D’ODIO




               stessa, ma allo stesso tempo, sono fortemente odiose, perché riservano a chi le
               ascolta la carica di odio espressa dalla persona che le utilizza. Due espressioni
               di odio, due facce della stessa medaglia comunicativa.
                    I bersagli a cui riservare tale odio sono di fatto individui, gruppi o situa-
               zioni, che vengono individuati su criteri a volte labili e futili, se si pensa per
               esempio  alle  espressioni  di  derisione  spesso  utilizzate  all’interno  del  mondo
               scolastico, ma anche per categorie, come orientamento sessuale, età, etnia, reli-
               gione, disabilità, ceto sociale ecc.
                    La  persona  da  colpire  diventa  vittima  della  poliedricità  del  linguaggio
               odioso a essa riservato e nello stesso tempo diventa vittima violentata nella sua
               intimità e nella sfera sociale. Quella intimità che la caratterizza come persona,
               che racchiude l’universo del suo vissuto e del suo mondo relazionale fino a quel
               momento. Un’intimità che racchiude il “sé” di tutto ciò che la rappresenta.
                    È molto di più di quello che si pensa, in quanto l’individuo è anche un
               essere sociale, che vive e convive in una rete di relazioni che coinvolge tutta la
               sua vita. Sono esse stesse infatti parte integrante di un processo educativo che
               si sviluppa nel corso del tempo, caratterizzato dal trascorrere incessante degli
               anni.

               2. Parole violente e violenza
                    Parole rigide e feroci, che limitano il pensiero e infieriscono crudelmente
               contro l’io della persona, schiavizzandolo in un susseguirsi di emozioni che lo
               rendono fragile, instabile, pauroso, triste, ansioso o peggio ancora depresso fino
               a spingerlo a pensieri suicidi. Una dominanza di parole incise nel profondo, che
               sfocia in un’espressività violenta in cui la società odierna è coinvolta, abbatten-
               do oggi barriera disciplinare che porti comportamenti moralmente accettabili e
               stili di vita rispettosi nei confronti delle persone.
                    Sono venuti a mancare gli stimoli e prima ancora i pensieri, volti ad una
               produzione di incisi interiori considerati “sani” che possano condurre l’uomo a
               prendersi cura di sé stesso e degli altri.
                    La  violenza  delle  parole  diventa  quindi  solo  l’appendice  di  un  sistema
               molto più complesso e articolato che appartiene non solo a chi lo esprime, ma
               anche alla società di cui fa parte. Questo produce il potere di fare e dire qualsiasi
               cosa,  un  eccesso  di  super-io  isterico  che  si  abbandona  completamente  agli
               impulsi aggressivi e dispregiativi. Il super-io che predomina e che con la sua
               negatività  limita  la  libertà  dell’io  dell’altro.  L’hate  speech  da  diverso  tempo  è
               padrone nella panoramica dei talk show televisivi, nella vita quotidiana, all’in-
               terno dei social e dovunque in rete.


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