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INSERTO




             1. Introduzione: linguaggio violento e parole d’odio
                  Vi è un interrogativo che spesso ci poniamo: “Come abbiamo fatto ad
             arrivare a esprimere così tanta rabbia, odio e disprezzo con le parole? Per quale
             motivo la sofferenza diventa spesso motivo di disprezzo e indifferenza? Come
             può una società chiamata ad essere educativa diventare essa stessa colpevole di
             commettere il peggiore dei crimini, quello di uccidere quotidianamente con le
             parole le persone sin dalla tenera età, mancando di rispetto e violentando l’uo-
             mo, togliendole la sua dignità?
                  Una violenza inaudita, che porta a fermarci e a riflettere sul contenuto e il
             vero significato delle parole, ma anche delle nostre espressioni non verbali, che
             accompagnano ed esprimono in ogni istante ogni nostra emozione e mostrano
             ciò che proviamo veramente. Volutamente ho scelto questa riflessione, perché
             ritengo che tutti noi indipendentemente dalla professione e dal ruolo in cui
             siamo calati abbiamo un compito: quello di riuscire a fermare la ruota del mas-
             sacro  quotidiano  di  hate  speech,  portando  la  persona  a  riappropriarsi  di  una
             comunicazione sana e consapevole, che metta al centro il rispetto dell’uomo.
                  Viviamo quotidianamente utilizzando un linguaggio verbale che racchiude
             spesso la noncuranza dei rapporti con l’altro. Chi parla porta con sé una grande
             responsabilità, scatena in chi ascolta un’emozione che a sua volta genera consi-
             derazioni, opinioni, ma anche ferite, paure, ansie, aspettative, e interrogativi che
             generano a loro volta ulteriori dubbi, che scatenano altrettante emozioni che
             risultano a volte ingestibili.
                  La potenza della parola diventa di fatto un’arma pronta ad arrivare sempre
             un po’ più in là, spostando di fatto i confini di ciò che viene considerato legit-
             timo e normale.
                  Ecco che in questo scenario fa da padrone l’indifferenza, che avvolge il
             mondo comunicativo a tal punto da considerare del tutto indifferente ciò che
             viene trasmesso nel dialogo, fosse anche solo in una “battuta” o frase.
                  L’indifferenza che racchiude una superficialità di intenti e azioni che ren-
             dono  unico  il  modo  con  cui  vengono  accolte  nel  più  totale  silenzio  parole
             offensive e dispregiative, trasformandole in consenso sociale e legittimandole
             così con l’approvazione delle masse.
                  Ogni persona riveste un ruolo non solo come attore, ma anche come spet-
             tatore sociale, che assorbe inerme una modalità di azione, ma prima ancora di
             pensiero, pronto a trasformarsi in arma comunicativa.
                  Le parole odiose sono armi, in quanto cariche di odio e portatrici di odio,
             tanto quanto un’arma puntata e poi utilizzata. Esistono parole odiose, talmente
             odiose, che racchiudono la bruttezza del senso e del significato della parola

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