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LINGUAGGIO VIOLENTO E PAROLE D’ODIO
Le aggettivazioni dispregiative portano a sputare odio, a dare per scontato
l’odio e ad affiliarsi con chi odia. Inoltre vi è la parte di tale linguaggio che si
concentra su ciò che fanno gli individui con le parole d’odio, ovvero alla pro-
duzione di violenza e di comportamenti discriminatori, inducendoli ad essere
avvallati dalla società.
Tale comunicazione propone una prospettiva violenta, ma allo stesso
tempo invita altri a condividerla, proprio perché a livello sociale è diffusa e
accettata. Comunicare odio e disprezzo verso persone appartenenti a determi-
nati gruppi ci riporta a quanto l’espressività negativa a livello sociale sia talmen-
te elevata da radicarsi in parole d’odio. Tale linguaggio spesso non è solo espres-
sione di razzismo, misoginia e omofobia, ma diventa anche un sostegno attivo
a tali comportamenti, proprio perché in esso ne trova maggiormente la sua col-
locazione.
4. Il delitto proferito con la parola odiosa
Quando si dice che la potenza della parola uccide una persona non è sicu-
ramente una definizione illusoria, anzi, nel concreto la forza e il significato che
racchiude una parola può determinare la vita o la morte. Spesso si sottovalutano
le reazioni che scatenano la ricezione delle parole che ci vengono dette oppure
che sentiamo dirette a persone noi care o verso interlocutori che non conoscia-
mo o di cui abbiamo solo una conoscenza superficiale.
Non ci si ferma mai abbastanza per analizzare che tipo di linguaggio ci è
stato rivolto e quale sia veramente la motivazione che spinge il nostro interlo-
cutore a utilizzare determinate parole piuttosto che altre.
Non ci si sofferma a conoscere veramente il tipo di oratoria che noi espri-
miamo quando siamo arrabbiati, oppure quando azioniamo i nostri cancelli
mentali, producendo così pregiudizi o peggio ancora classificazioni prive di una
valutazione attenta e scrupolosa del contesto che stiamo vivendo e con chi lo
stiamo condividendo.
Come se fosse un tribunale, viene decisa una sentenza, ma in questo caso
vi è l’imposizione di un linguaggio violento da utilizzare.
Lo scopo è quello di ferire e di distruggere il nostro interlocutore. La
volontà di provocargli dolore è talmente forte che è paragonabile al desiderio
di compiere un delitto anche se in assenza di morte vera.
Il delitto con la parola, strumento di guerra e di morte, potente e destabi-
lizzante, proprio perché viene compiuto in un susseguirsi di violazioni della
distanza psicologica, di quella fisica, ma soprattutto sociale, diventa il primo tra
i più pericolosi.
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