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HATE SPEECH E REATI DI OPINIONE NELL’ERA DI INTERNET




               bensì nel senso della dignità personale che risiede nell’opinione di altri, in un
               dato momento storico. Vale a dire che, non è lesivo del bene giuridico tutelato
               dalla norma ciò urta la sensibilità della persona offesa dal reato, bensì l’obiettività
               dell’offesa stessa rispetto alla collettività, in ragione di un particolare contesto
               storico.
                    È ancora una volta il giudice di legittimità a fornire una chiara definizione
               di quale debba essere l’oggetto della tutela del delitto di diffamazione, sulla
               scorta della tradizionale elaborazione operata dalla giurisprudenza ed individua-
               ta ne l’onore in senso oggettivo o esterno e cioè la reputazione del soggetto passivo del reato,
               da intendersi come il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo socia-
               le, secondo il particolare contesto storico (così tra le tante Sez. 5, n. 3247 del 28 febbraio
               1995, Labertini Padovani ed altro, Rv. 20105401). In definitiva, secondo quella che viene
               comunemente identificata come concezione fattuale dell’onore, ciò che viene tutelato attraverso
               l’incriminazione di cui si tratta è l’opinione sociale del «valore» della persona offesa dal reato.
               Come noto, soprattutto in dottrina si è affermata anche una diversa elaborazione del concetto
               di «onore», da intendersi come attributo originario dell’individuo, costituendo esso un valore
               intrinseco della persona umana in forza della dignità che gli è propria e che non può essere
               negata dalla comunità sociale. Concezione questa ispirata al principio personalistico che per-
               vade la carta costituzionale e che, superando, la dicotomia tra onore in senso soggettivo ed
               oggettivo propria della concezione fattuale .
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                    Se nell’originaria visione del Codice Rocco la punibilità delle fattispecie di
               diffamazione a mezzo stampa, era circoscritta alle ipotesi delittuose perpetrate
               con il solo mezzo della carta stampata o del mezzo radio-televisivo, la nuova
               modalità di commissione dei reati d’opinione si è oggi evoluta, manifestandosi
               in una diversa, più ampia - e visti i mezzi, maggiormente lesiva - modalità di
               commissione del reato, perpetrata prevalentemente con lo strumento di internet.
               E dunque, l’art. 604-bis c.p. da un lato e l’art. 595 c.p. dall’altro, sono le attuali
               forme di tutela previste per la repressione dei reati di opinione.
                    È significativo che l’alveo dei soggetti attivi del reato si è ampliato note-
               volmente, visto che coloro che dapprima erano solo destinatari delle informa-
               zioni e delle opinioni, in quanto fruitori delle stesse (quali lettori dei giornali o
               telespettatori, o ancora radio ascoltatori), oggi sono divenuti essi stessi autori
               dei contenuti immessi nel web, mediante l’utilizzo di strumenti quali i post (blog
               o pagine), i commenti ai post altrui, i like o la possibilità di condividere o ricon-
               dividere pubblicazioni e commenti di terzi.
                    La nuova modalità di commissione del reato è agevolata dalla stessa sem-
               plicità di consumazione dello stesso. Ed infatti, è facile immettere e creare un
               18   Cassazione penale., Sez. V, sentenza n. 50659 pubblicata il 29 novembre 2016.

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