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HATE SPEECH E REATI DI OPINIONE NELL’ERA DI INTERNET




               la ricerca scientifica, si è assistito poi all’uso deviato di tali gare, introducendone
               alcune pericolosissime, quale ad esempio, la blue whale challenge. Tale sfida è pas-
               sata financo al vaglio della Suprema Corte di Cassazione, la quale è stata chia-
               mata a valutare, ancora una volta in sede di cautela, la ricorrenza o meno del-
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               l’ipotesi di istigazione al suicidio  fattispecie che costituisce forma di istigazio-
               ne al reato.
                    La condivisione delle cosiddette challenge ha infatti causato morti e feriti,
               soprattutto  tra  i  giovanissimi,  nel  dilagare  di  un  fenomeno  preoccupante  al
               quale è necessario porre argine. Ed è proprio il rapporto tra giovani ed internet,
               il più delicato, purtroppo legato sempre alla tematica dei discorsi d’odio.
                    La serietà e la delicatezza di tale interazione, si può infatti apprezzare in
               tutta la sua essenza, soffermandosi sul fatto che la diffamazione è espressa-
               mente una forma di commissione del delitto di cyberbullismo, fattispecie que-
               sta introdotta dalla legge 29 maggio 2017, n. 71, denominata Disposizioni a
               tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyber-
               bullismo.
                    La legge introduce per la prima volta nell’ordinamento giuridico anche
               una definizione di tale reato, contenuta proprio all’art. 1, comma 2: Ai fini della
               presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, mole-
               stia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione
               illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realiz-
               zata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno
               o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello
               di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dan-
               noso, o la loro messa in ridicolo.
                    Il cyberbullismo si può descrivere come quella forma di aggressione, pressio-
               ne o prevaricazione attuata da una persona per intimorire e danneggiare un
               individuo più debole, all’interno dello spazio virtuale. Si tratta di una serie ripe-
               tuta di condotte, perpetrate in danno di una parte che risulta più debole rispetto
               al soggetto attivo. Così delineato il reato, la fattispecie di cyberbullismo, si può
               manifestare attraverso diversi atteggiamenti tipici, quali ad esempio il cosiddet-
               to  flaming  o  ancora  il  denigration.  Il  termine  flaming,  proviene  dall’espressione
               inglese flame, che tradotto letteralmente significa fiamma.
                    Il significato di tale espressione è quello di indicare l’atto di colui il quale,
               mediante messaggi online caratterizzati da odio e volgarità ed immessi nei forum


               19   Corte di Cassazione sezione penale V, n. 57503 pubblicata il 22 dicembre 2017 che tuttavia
                    ha ritenuto non configurabile il tentativo di istigazione al suicidio nel caso di invio di mes-
                    saggi, pur se contenenti l’invito a compiere atti potenzialmente pregiudizievoli.

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