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             confini fra questi due principi, entrambi solennemente riconosciuti in ambito nazionale e
             sovranazionale. Questa Corte di legittimità ha in più occasioni affermato il principio secon-
             do il quale il diritto di libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) incontra dei limiti
             e necessita di volta in volta di un bilanciamento laddove esso si ponga in contrasto con il prin-
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             cipio di pari dignità di tutti i cittadini (art. 3 Cost.)  e dunque, nel possibile contra-
             sto tra i due valori fondamentali in gioco, decreta con ponderazione la Corte,
             dev’essere data preminenza alla dignità di tutti i cittadini laddove si manifesti-
             no  condotte  rivelatrici  di  una  pericolosità  in  concreto  per  il  bene  giuridico
             tutelato dalla norma penale incriminatrice.
                   In tale contesto si percepisce anche il ruolo affidato al Giudice, davvero
             cruciale, di verifica in concreto della sussistenza degli hate speeches, imponendogli
             sia di giudicare il fatto di reato verificandone la sussistenza in termini oggettivi
             e soggettivi, ma anche - e soprattutto - di approfondire l’esistenza in concreto
             del possibile pregiudizio di altri diritti fondamentali.

             3.  I delitti di diffamazione a mezzo internet e cyberbullismo
                  In tema di reati di opinione e discorsi d’odio, un presidio di tutela di più
             ampia  portata,  si  rinviene  nell’ipotesi  delittuosa  di  diffamazione,  prevista  e
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             punita dall’art. 595 c.p. . Il reato di diffamazione nella sua struttura tipica con-
             siste nell’offesa all’altrui reputazione, commessa comunicando con più persone.
             L’aspetto della comunicazione è la caratteristica principale del suddetto delitto,
             tanto che l’art. 595 c.p. è uno strumento di repressione dei reati di opinione, e
             presidio  penale  nel  quale  viene  compiuto  maggiormente  il  bilanciamento  di
             beni costituzionalmente tutelati.
                  Per i fini che interessano in questa sede, il comma 3 della norma, punisce
             l’ipotesi di diffamazione commessa mediante l’utilizzo della stampa o di altro
             mezzo di pubblicità. L’oggetto di tutela del reato è la reputazione, concetto che
             nella sua accezione fattuale si basa sul giudizio dei consociati e che dunque, non
             dev’essere valutato rispetto all’individuo e alla percezione che egli ha di sé stesso,

             16   Cassazione penale III sezione, del 14 settembre 2015 n. 36906, sentenza che ha il pregio di
                  ripercorrere tutto l’excursus relativo all’introduzione e l’evoluzione degli hate speeches nel con-
                  testo italiano ed europeo.
             17   Art. 595 c.p.: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con
                  più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la
                  multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determina-
                  to, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque
                  euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di
                  pubblicità, ovvero in atto pubblico [2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o
                  della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico,
                  amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in col-
                  legio [342], le pene sono aumentate”.

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