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HATE SPEECH E REATI DI OPINIONE NELL’ERA DI INTERNET
costituzionalmente garantita e tutelata - è l’aspetto più delicato sul quale deve
soffermarsi il Giudice, il quale deve innanzitutto valutare - sulla scorta degli ele-
menti sottoposti alla di lui attenzione, da accusa e difesa - se la condotta conte-
stata come propaganda non risulti comunque ed in concreto, espressione della
libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’art. 21 della Costituzione.
Ed infatti, soprattutto nella delicata fase di emissione di eventuali misure
cautelari, ai fini di valutare la ricorrenza ex art. 273 c.p.p. dei gravi indizi di col-
pevolezza, idonei a sostenere l’emissione della misura (chiaramente previa veri-
fica della sussistenza di una delle esigenze cautelari tipizzate), la pronuncia n.
4534 del 2021 ha ben argomentato, chiarendo che assumono rilevanza anche i
rapporti di frequentazione fisica con altri appartenenti a comunità virtuali che
si prefiggono lo scopo previsto dalla norma incriminatrice, ma, tra chi diffonde
in rete - propagandandolo - il messaggio discriminatorio d’odio con altri utenti
della comunità digitale, un peso rilevante per l’integrazione della condotta tipica
lo assumono i reiterati segnali di adesione, con i like e le condivisioni, che ven-
gono fatti dei messaggi in questione, i quali vanno poi ad apparire sulle bache-
che degli utenti dei social network. Tale concetto è stato ripreso e ribadito anche
da altre e più recenti pronunce .
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Nel sistema di internet, per valutare la sussistenza della fattispecie delittuosa
in esame, la giurisprudenza ha consentito di aggiungere ulteriori elementi
oggettivi la cui ricerca è demandata in prima istanza all’Autorità Giudiziaria, ele-
menti che senza dubbio possono consentire al Magistrato di apprezzare l’even-
tuale sussistenza della finalità discriminatoria del discorso d’odio. Sulle pagine
oppure nei post, oltre allo stesso contenuto testuale dello scritto immesso, rileva
anche l’utilizzo di disegni, simboli o immagini che contengano richiami o finan-
co riferimenti a concetti discriminatori.
Si tratta di immagini o simboli essi stessi capaci, con la sola pubblicazione
o condivisione, di richiamare immediatamente messaggi di odio legati a concetti
12 Cassazione penale sentenza n. 38423, sezione I, pubblicata il 20 settembre 2023 “Integra il
reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, c.p., l’adesione ad una comunità virtuale carat-
terizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamen-
to alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione,
sulle bacheche delle sue piattaforme social, di messaggi di chiaro contenuto negazionista,
antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di «like» e il rilancio
di «post» e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideo-
logici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei
«social network», che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti. Né potrebbe invocarsi
- a discrimine di tali contenuti corrispondenti alla fattispecie delittuosa - la libertà di opinione
e di parola, trattandosi del bilanciamento di interessi di rango costituzionale che hanno già
trovato assetto definitivo nella incriminazione prevista dall’art. 604-bis c.p.”. Massima estratta
dalla Banca dati OneLegale.
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