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LA FUNZIONE DEL CONTROLLO INDIPENDENTE DELLA CORTE DEI CONTI




                    6.1. Probabilmente Max Weber aveva avuto modo di conoscere il pensiero
               di Marco Tullio Cicerone, studiandolo a scuola nelle diverse espressioni della
               sua intelligenza oratoria e, soprattutto, della sua passione politica che in quella
               trovava modo di esprimersi.
                    Cicerone rifiuta l’idea - come la avevano rifiutata i più grandi drammatur-
               ghi greci - che il potere potesse essere esercitato da una persona sola al coman-
               do, da un dictator. E ne è ben convinto perché egli ha studiato i meccanismi
               reconditi dell’animo umano; e, in nome del populus e del senatus, cioè di coloro
               che ne rappresentano le migliori intelligenze in termini elitari, ha saputo denu-
               dare coloro che avevano tradito il giuramento di lealtà a quelli fatto.
                    Lo aveva fatto nelle Catilinarie (occupandosi di tradimento verso lo Stato),
               lo  aveva  fatto  nelle  Verrine  (denunciando  le  diverse  forme  di  concussione
               messe  in  atto  contro  i  Siciliani),  e  ancora  nelle  Filippiche  (ovvero  nelle
               Antoniane) a difesa dell’ordinamento della res publica voluta dai Padri fondatori.
               Il modello di queste ultime, tra l’altro, richiama un’opera greca, le Filippiche di
               Demostene; orazioni queste ultime entrate a far parte della biblioteca personale
               di Pomponio Attico, che era grande amico di Cicerone.
                    Il leit-motiv di queste opere è sempre lo stesso: le qualità morali (virtutes) di
               chi si debba considerare adatto a guidare un regno, o anche una sola civitas, sono
               poste al centro dell’attenzione da questi Autori, accomunati da un insolito desti-
               no, quello di aver provato le delizie (e le croci) della carriera politica.
                    Weber, comunque, non sembra voler accettare, a modello del suo pensiero
               politico, le riflessioni fatte da uomini del Sud del mondo, ed è per questo che si
               limita a recuperare, spigolando qua e là, il pensiero frammentato di altri, di
               Frederich Nietzsche (1844-1900) che diceva di se stesso Sono troppo curioso, troppo
               problematico, troppo tracotante, perché possa accettare una risposta grossolana. Per questo
               il filosofo preferirà ispirare le sue azioni umane a Dioniso (caos e libertà) piut-
               tosto che ad Apollo (ordine e razionalità).
                    Weber, vivendo al di fuori di questa dimensione (e nella convinzione di
               trovare  la  salvezza  della  società  nella  visione  nibelungica  dell’eroe),  sembra
               voler dimenticare tutta la fatica di chi è impegnato a dare un ordine a ciò che
               ordine non potrà mai avere, dato che il politico-professionista deve dare un
               senso teleologico a quella massa informe di desideri, di aspirazioni, di sogni che
               ogni comunità di uomini e di donne è capace di generare.
                    Egli dimentica (anche se non del tutto) di coglierne lo status particolare,
               cioè quello di dover essere - il politico - un individuo che non si sottrae alle sue
               responsabilità; ma non dice mai del come a tale livello di conoscenza, di pro-
               fessionalità si possa, da parte di costui, pervenire.


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