Page 199 - Rassegna 2024-3
P. 199
LA FUNZIONE DEL CONTROLLO INDIPENDENTE DELLA CORTE DEI CONTI
6.1. Probabilmente Max Weber aveva avuto modo di conoscere il pensiero
di Marco Tullio Cicerone, studiandolo a scuola nelle diverse espressioni della
sua intelligenza oratoria e, soprattutto, della sua passione politica che in quella
trovava modo di esprimersi.
Cicerone rifiuta l’idea - come la avevano rifiutata i più grandi drammatur-
ghi greci - che il potere potesse essere esercitato da una persona sola al coman-
do, da un dictator. E ne è ben convinto perché egli ha studiato i meccanismi
reconditi dell’animo umano; e, in nome del populus e del senatus, cioè di coloro
che ne rappresentano le migliori intelligenze in termini elitari, ha saputo denu-
dare coloro che avevano tradito il giuramento di lealtà a quelli fatto.
Lo aveva fatto nelle Catilinarie (occupandosi di tradimento verso lo Stato),
lo aveva fatto nelle Verrine (denunciando le diverse forme di concussione
messe in atto contro i Siciliani), e ancora nelle Filippiche (ovvero nelle
Antoniane) a difesa dell’ordinamento della res publica voluta dai Padri fondatori.
Il modello di queste ultime, tra l’altro, richiama un’opera greca, le Filippiche di
Demostene; orazioni queste ultime entrate a far parte della biblioteca personale
di Pomponio Attico, che era grande amico di Cicerone.
Il leit-motiv di queste opere è sempre lo stesso: le qualità morali (virtutes) di
chi si debba considerare adatto a guidare un regno, o anche una sola civitas, sono
poste al centro dell’attenzione da questi Autori, accomunati da un insolito desti-
no, quello di aver provato le delizie (e le croci) della carriera politica.
Weber, comunque, non sembra voler accettare, a modello del suo pensiero
politico, le riflessioni fatte da uomini del Sud del mondo, ed è per questo che si
limita a recuperare, spigolando qua e là, il pensiero frammentato di altri, di
Frederich Nietzsche (1844-1900) che diceva di se stesso Sono troppo curioso, troppo
problematico, troppo tracotante, perché possa accettare una risposta grossolana. Per questo
il filosofo preferirà ispirare le sue azioni umane a Dioniso (caos e libertà) piut-
tosto che ad Apollo (ordine e razionalità).
Weber, vivendo al di fuori di questa dimensione (e nella convinzione di
trovare la salvezza della società nella visione nibelungica dell’eroe), sembra
voler dimenticare tutta la fatica di chi è impegnato a dare un ordine a ciò che
ordine non potrà mai avere, dato che il politico-professionista deve dare un
senso teleologico a quella massa informe di desideri, di aspirazioni, di sogni che
ogni comunità di uomini e di donne è capace di generare.
Egli dimentica (anche se non del tutto) di coglierne lo status particolare,
cioè quello di dover essere - il politico - un individuo che non si sottrae alle sue
responsabilità; ma non dice mai del come a tale livello di conoscenza, di pro-
fessionalità si possa, da parte di costui, pervenire.
197