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BENI CULTURALI E DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE




                    Dalla occupazione nell’agosto 2014 del Sinjar, nel nord dell’Iraq, dove gli
               Yazidi vivevano, migliaia di uomini, donne e bambini sono stati uccisi, rapiti,
               torturati, deportati o tenuti in ostaggio; le donne sopravvissute sono state abu-
               sate e poi vendute al mercato degli schiavi di Raqqa e Mosul; le case e i campi
               sono stati bruciati; i pozzi d’acqua avvelenati; infine, il loro mausolei e templi
               rasi al suolo .
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                    È cosi che si è consumato il primo genocidio del XXI secolo.
                    I sanguinosi conflitti che, in questo momento, sconvolgono altre parti del
               mondo, ci privano della speranza che possa anche essere l’ultimo.

               3.  La distruzione dei mausolei di Timbuktu davanti alla Corte penale
                  internazionale
                    La catena della impunità per gli scempi compiuti in nome del fondamen-
               talismo islamico si è finalmente spezzata quando il medesimo “copione” è stato
               replicato sul territorio di uno Stato - il Mali - che per avere aderito allo Statuto
               di Roma, ha permesso che la Corte penale internazionale  potesse finalmente
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               attivarsi, esercitando la propria giurisdizione in questo specifico caso , diversa-
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               mente da quanto accaduto in aree geografiche contigue, per fatti della stessa
               natura. Infatti, la circostanza per cui sia l’Iraq che la Siria non fossero Stati
               parte, ha impedito che gli uomini del califfato fossero chiamati a rispondere
               degli orrendi crimini commessi davanti alla CPI.

                    domestico del diritto di Roma, approvando il Codice dei crimini internazionali che fa proprio
                    il criterio della giurisdizione universale (§ 1 Anwendugsbereich VStGSB). La disponibilità di
                    questo strumento giuridico ha permesso di procedere contro i crimini internazionali, altri-
                    menti, destinati a sfuggire a ogni forma di persecuzione in quanto sottratti alla giurisdizione
                    della Aja, perché commessi nel territorio di Stati non parte o da cittadini di Stati non parte.
                    Il nostro paese, invece, risulta tuttora inadempiente nella trasposizione nel diritto interno
                    delle fattispecie delittuose previste dallo Statuto della CPI. Questa inaccettabile inerzia legi-
                    slativa determina l’impossibilità per la giurisdizione italiana di attivarsi nella repressione dei
                    core crimes, che, in questo modo, si sottrae all’obbligo di perseguire i responsabili dei più
                    gravi crimini di rilevanza internazionale, posto a carico di ogni Stato parte dal IV paragrafo
                    del Preambolo dello Statuto. D’altro canto, i “ritocchi” apportati al disegno di legge gover-
                    nativo per l’emanazione di un codice dei crimini internazionali rispetto al testo originario
                    licenziato  dalla  Commissione  Palazzo  -  Pocar  incaricata  nella  precedente  legislatura  dalla
                    Ministra Cartabia, destano molte riserve sui contenuti della complessiva manovra legislativa.
                    Si allude, in particolare, alla estromissione dal progetto dei crimini contro l’umanità; per
                    approfondimenti, sia permesso rinviare a Rita Lopez, L’Italia e la mancata repressione dei crimini
                    internazionali, in Proc. pen. e giustizia, 2024, n. 2, pp. 502 ss.
               38   Costanza Coppini, Il patrimonio culturale yazida nella regione di Sinjar: gli edifici religiosi tra distruzio-
                    ne e ricostruzione, in https://www.openstarts.units.it.
               39   Nel prosieguo CPI.
               40   Va ricordato che ai fini della instaurazione del processo all’Aja che, ex art. 63 Statuto, esige
                    inderogabilmente la presenza dell’imputato, fu decisivo anche l’ausilio delle autorità nigeriane
                    nell’assicurare alla custodia della CPI Ahmad Al Faqui Al Mahdi.

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