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INSERTO
poi, del sedicente Stato islamico attivo in Iraq e Siria, a partire dal 2003, dopo
il ritiro delle truppe angloamericane dall’Iraq. Nel farneticante proposito inte-
gralista di riaffermare il monoteismo islamico di matrice salafita sulla multicul-
turalità dei due paesi del Medio Oriente dove, dall’antichità, convivevano paci-
ficamente le tre grandi religioni monoteistiche, il cieco furore dei terroristi
imperversò a Mosul, distruggendone nel luglio 2014 le mura, la porta monu-
mentale, la moschea-mausoleo sunnita di Giona; l’anno successivo toccherà al
museo archeologico e alla biblioteca. È solo l’inizio. Sarà poi la volta di Tikrit,
in cui furono rase al suolo la Chiesa verde, uno dei monumenti cristiani più anti-
chi del medio Oriente, e la moschea di Arbaeen Wali; del sito archeologico di
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Palmira, che subi’ danni incalcolabili ; delle antiche città siriane di Mari e Dura
Europos; dei siti di Hatra, Ninive, Nimrud, Khorsabad e Assur; ancora, di chie-
se e conventi cristiani di origine bizantina e di moschee luogo di preghiera per
gli sciiti.
Quest’opera di sistematica devastazione corrispondeva a una strategia
funzionale e complementare alla jihad contro le antiche identità etniche e reli-
giose: una operazione di “pulizia culturale” contestuale alla aberrante pulizia
etnica perseguita attraverso deportazioni e migrazioni forzate cui furono
costrette intere comunità per sfuggire ai massacri compiuti dal gruppo terrori-
stico per purificare la terra islamica da idolatria, eresia e apostasia. Tra le comu-
nità perseguitate, quella yazida in particolare è stata vittima di un vero e proprio
piano genocidiario, come ufficialmente riconosciuto dall’Onu, dal Parlamento
europeo, dalla Camera dei Rappresentati degli Stati Uniti, dal Parlamento italia-
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no e giudizialmente accertato dalla magistratura tedesca .
36 Tra le opere distrutte più preziose si annoverano la Statua leonina di Atena; i Templi di
Baalshmin e di Bel; l’Arco di Trionfo; le Torri di Elahbel e del Tetrapylon di Diocleziano.
37 Il 30 novembre 2021, il Tribunale di Francoforte ha condannato all’ergastolo per genocidio
ai danni della minoranza yazida, un iracheno, ex miliziano dell’Isis, per avere provocato la
morte per disidratazione di una bimba di cinque, tenuta incatenata per castigo alla finestra
della sua casa, a Felluja, sotto al sole, a una temperatura di 50 gradi. Sia la povera vittima che
la mamma, dopo essere state sequestrate con la sola colpa di appartenere all’antico gruppo
religioso, vivevano in stato di totale schiavitù alla mercé del loro carnefice. La pronuncia dei
giudici tedeschi che riconosce come genocidio i crimini commessi contro il popolo yazida,
possiede un enorme rilievo: oltre ad aver reso giustizia a un crimine di inumana ferocia e cru-
deltà, nello stesso tempo ha sollevato il velo dell’oblio sceso sulle altre migliaia di vittime,
cancellate prima del folle disegno dello stato islamico e oltraggiate, poi, dalla inerzia del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nonostante le agghiaccianti evidenze emerse sin
dall’inizio dell’offensiva militare dell’Isis nella regione di Sinjar, abitata dagli yazidi, tutte pun-
tualmente denunciate dalla Commissione di inchiesta sulla Siria, incaricata dal Consiglio dei
diritti umani dell’ONU. A parte questa vicenda, la magistratura d’oltralpe, negli ultimi anni,
si è resa formidabile protagonista della lotta alla impunità contro i più gravi delitti riguardanti
l’intera comunità internazionale. Ciò è stato possibile in quanto il Parlamento tedesco pres-
soché contestualmente alla ratifica dello Statuto di Roma, ha provveduto all’adeguamento
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