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INSERTO




                  Per di più nel caso del Mali, i siti culturali abbattuti - nove mausolei e la
             porta della moschea di Sidi Yaia - oltre a possedere grande valenza evocativa per
             la gente del posto, rivestivano preminente valore universale possedendo tutti
             tranne uno lo status di patrimonio mondiale dell’Unesco, il che, per definizione,
             connotava in termini di universalità la dimensione dell’offesa arrecata dal loro
             brutale abbattimento.
                  Il procedimento nei confronti di Al Mahdi deve il suo inizio ad una segna-
             lazione  indirizzata  alla  CPI  dal  Ministro  della  giustizia  del  Mali,  secondo  lo
             schema del cosiddetto “self-referral”  , il 18 luglio 2012, dunque appena sei gior-
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             ni dopo che l’ultimo dei mausolei presi di mira - quello di Bahaber Babadiè -
             era stato ridotto in macerie; specificamente si denunciava la presunta commis-
             sione di crimini appartenenti alla giurisdizione della CPI, indicati in «violazioni
             gravi ed estese dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario». Nel
             gennaio 2013, l’ufficio del Prosecutor decideva di aprire un’indagine formale sui
             fatti verificatisi nello Stato africano a partire dall’inizio dell’anno precedente,
             ravvisando la sussistenza di elementi sufficienti per ritenere perpetrati una serie
             di efferati delitti secondo la soglia di gravità richiesta dallo Statuto:
                    omicidi;
                    mutilazioni, trattamenti crudeli e tortura;
                    stupri;
                    attacchi intenzionalmente diretti contro beni protetti;
                    saccheggi;
                    emanazione di sentenze ed esecuzione di pene capitali senza previo giu-
             dizio dinanzi ad un tribunale regolarmente costituito.
                  La condotta criminosa della quale l’imputato si dichiarava colpevole , era
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             ricondotta dalla accusa  alla disciplina dell’art. 8 (2) (e) (iv); la previsione, nel-
             l’ambito della categoria «crimini di guerra», ricomprende «altre gravi violazioni

             45   Per approfondimenti sulla controversa prassi della denuncia di una determinata situation che
                  provenga direttamente dallo Stato del locus commissi delicti, cfr. Vittorio, Fanchiotti, Corte penale
                  internazionale, in Enc. dir., Annali II, tomo 2, Giuffrè, Milano, 2008, p. 293; Giulio Vanacore,
                  Self-referrals e complementarietà della Corte penale internazionale. Qualche riflessione a partire dalla denun-
                  zia del Mali, in Dir. pen. contemporaneo, 2016, pp. 1 ss.
             46   Per l’istituto della ammissione di colpevolezza nel processo davanti ai Giudici dell’Aja disci-
                  plinato dall’art. 65 Statuto, cfr. Vittorio Fanchiotti, Il dibattimento e le impugnazioni, in AA. VV.
                  La Corte penale internazionale. Profili sostanziali e processuali, a cura di Fanchiotti, Giappichelli,
                  Torino, 2014, p. 139; volendo Rita Lopez, Le distruzioni di Timbuktu arrivano all’Aja: la prima
                  condanna della Corte penale internazionale per attacco intenzionale contro il patrimonio culturale cit., pp.
                  680-681.
             47   La qualificazione giuridica dei fatti operata dall’accusa era condivisa dalla Camera di primo
                  grado, che lasciava immutato il nomen iuris, non ravvisando «reason to consider any legal recha-
                  racterisation».

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