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LA GIUSTA RETRIBUZIONE NEL CONTESTO DELLA DISCIPLINA DEI CONTRATTI PUBBLICI
Infatti, è significativo come tale articolo 11 stabilisca che al personale impie-
gato ai lavori, ai servizi e forniture di oggetti di appalti pubblici e concessioni è applicato il
contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si
eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dai datori di lavoro e dei prestatori di lavoro com-
parativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione
sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’im-
presa anche in maniera prevalente.
Tale norma rappresenta una novità dato che essa discende direttamente
dal modello di tutela previsto a favore dei lavoratori come disciplinato dall’art.
36 dello “Statuto dei lavoratori” (Legge n. 300/70).
Articolo che stabilisce che nei capitolati d’appalto attinenti all’esecuzione di opere
pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario
appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni
non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.
Una “clausola sociale” che riesce a fare capolino nella massa di norme che,
fino a quel periodo storico, avevano visto una forte prevalenza del ricorso al pro-
fitto da parte del sistema delle imprese e un diffuso disinteresse a costruire un
complesso di tutele sostanziali a favore della classe lavoratrice. Oggi si riesce a
dare un senso alla normativa che viene ricompresa nell’ampia dizione di quel
sistema legislativo che dovrebbe essere posto a salvaguardia del “benessere per-
sonale” dei dipendenti. Anche se, nel campo degli appalti pubblici, il primo con-
tributo alla salvaguardia del benessere di una persona è cercare di assicurarle il
diritto ad una retribuzione equa e dignitosa. Una condizione che può risultare
idonea a migliorare la resa in termini qualitativi delle prestazioni lavorative che
sono richieste ai diversi tipi di risorse umane coinvolte nella esecuzione di un
appalto pubblico. Come è stato recentemente osservato non si dimostra suffi-
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ciente a garantire il perseguimento di tale obiettivo l’avere fissato, tra i “principi
generali” del Nuovo Codice, quello di dover assicurare la “qualità delle presta-
zioni” incorporandola nel migliore risultato possibile. Principio del “risultato”
che la “Dichiarazione di Lima”, nel 1977, aveva indicato dover formare oggetto
del controllo indipendente esterno proprio della Istituzione superiore di control-
lo, che in Italia si riconosce nella Corte dei conti. A difesa dell’“assetto sociale”
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si sono aggiunte, con la nuova disciplina sugli appalti pubblici, altre “clausole” .
15 V. Cristiana Napolitano, Le clausole sociali tra il vecchio e il nuovo Codice dei contratti: il difficile equi-
librio tra la libertà di iniziativa economica, la garanzia di conservazione dei livelli occupazionali e la pro-
mozione della parità di genere, in Rivista di Diritto ed Economia dei Comuni, n.2/2023, pp. 191-201.
16 Il d.lgs. n. 36/2023 prevede, tra le nuove “clausole sociali”, la stabilità occupazionale del per-
sonale impiegato (art. 57) e il tendenziale perseguimento della “parità di genere”, criterio pre-
miale introdotto dall’art. 108.
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