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INFORMAZIONI E SEGNALAZIONI




                  La dichiarazione di fallimento di una società priva la stessa di ogni potere in relazione
             al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all’esecuzione concorsuale per disposizione
             di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa), ma non comporta di
             per sé alcuna alterazione della compagine sociale, i cui organi restano in funzione, come evi-
             denziato anche dalla giurisprudenza civile, sia pur con le limitazioni derivanti dall’interve-
             nuta dichiarazione di fallimento. La Corte continua ribadendo che la società resta
             un soggetto giuridico, sanzionabile anche attraverso la privazione di beni che
             costituiscono il profitto di un delitto tributario, e che i diritti dei terzi in buona
             fede che possono prevalere sulla confisca, non sono da intendersi come diritti
             di credito, ma soltanto come diritti reali.
                  Tracciando  i  confini  tra  spossessamento  ed  espropriazione,  privativa
             appunto della proprietà dei beni, la pronuncia ricorda come l’effetto tipico della
             pronuncia di fallimento attenga il mero piano della disponibilità e amministra-
             zione dei beni, della possibilità di esercitare su di essi diritti e facoltà, tutti poteri
             tipici del diritto di proprietà che vengono sì traferiti alla curatela, ma che non
             identificano completamente il diritto di proprietà, il quale resta in capo all’ori-
             ginario proprietario.
                  Tantomeno può concludersi diversamente utilizzando l’argomentazione
             della legittimazione degli organi fallimentari ad impugnare le misure penali, le
             quali  perseguono  finalità  sanzionatorie,  hanno  carattere  obbligatorio  e  sono
             chiamate a ripristinare l’equilibrio economico violato dal compimento del delit-
             to tributario, a nulla rilevando la sequenza cronologica tra le procedure concor-
             suali e le misure ablatorie reali: queste ultime prevarranno sempre sui diritti di
             credito vantati sugli stessi beni.
                  A questo punto, in modo semplice, tanto da apparire scontato, la Suprema
             Corte  risolve  il  contrasto  interpretativo  attraverso  un  semplice  avverbio  di
             tempo: il sempre contenuto nell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74/2000, il quale rende la
             confisca sempre operabile, a tutela di interessi pubblicistici di contrasto all’eva-
             sione, davanti ai quali gli interessi creditori privatistici soccombono. Di conse-
             guenza, il curatore non può amministrare e disporre di beni legati ad un delitto
             tributario, altrimenti ne consentirebbe la circolazione mediante la vendita falli-
             mentare. La sua legittimazione ad impugnare le misure ablatorie reali attiene
             solo il piano della sussistenza dei requisiti previsti dal Legislatore per la loro
             efficacia, ovvero il fumus boni iuris e il periculum in mora, dei quali non si è affatto
             prospettato l’insussistenza nel caso di specie.
                  A riprova di quanto affermato, l’aggancio legislativo, secondo i giudici del
             cosiddetto Palazzaccio, sarebbe da rinvenirsi negli artt. 42, ultimo comma, legge
             fallimentare e 104-ter comma 8 del Codice della crisi di impresa e di insolvenza,

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