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DOTTRINA
prevalente, in passato , ha inglobato il reato comune in quello militare per
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l’esistenza di un elemento in più dato dal rapporto di subordinazione militare.
Invero, in riferimento al reato di insubordinazione si è assistito ad una evolu-
zione della giurisprudenza nel senso di non riconoscere aprioristicamente la
specialità del reato militare, valorizzando la plurioffensività dei reati comuni, la
cui ampia portata consentiva di includere anche l’ipotesi di insubordinazione
ex art. 186 c.p.m.p. per specialità reciproca per coincidenza tra fattispecie ed
elemento particolare. Il dolo specifico dei delitti ex artt. 336 c.p. - 337 c.p. con-
sente di attribuire un maggiore disvalore penale al fatto e, in un’ottica di poli-
tica criminale, valorizza la volontà del legislatore di punire più gravemente ipo-
tesi del genere rispetto alle corrispondenti ipotesi prevedute dalle leggi militari.
Infatti, sarebbe irragionevole non applicare - in un caso di specialità reciproca
- il reato punito più gravemente: la soluzione opposta, infatti, creerebbe zone
franche e cosiddetti fori privilegiati delle Forze Armate (7)(8) consentendo ad un
appartenente a corpi militari una sanzione più lieve, allontanandoci del tutto
dal processo di normalizzazione della giustizia militare.
In passato, anche in ambito militare, si è fatto ampio ricorso a criteri di
valore: le teorie pluralistiche, infatti, ritenendo insufficienti il solo criterio di
specialità, hanno fondato la risoluzione del concorso apparente tra reati sul cri-
terio di sussidiarietà e criterio di consunzione per inaugurare il cosiddetto prin-
cipio dell’assorbimento: la norma principale esclude la norma sussidiaria quan-
do tutela un grado inferiore dell’identico bene protetto: la norma principale
esaurisce l’intero disvalore del fatto. Questo criterio attribuisce all’operatore
giuridico il potere di “pesare” il disvalore penale del fatto.
L’assorbimento si fonda, quindi, su criteri instabili e privi di certezza giu-
ridica perché non ancorati ad alcuna norma giuridica ma appoggiati alla sola
valutazione meramente fattuale compiuta dall’interprete.
(6) Così con la Ord. 3 aprile 1976, le S.U. hanno riconosciuto il concorso apparente tra le norme
contenute negli artt. 336 e 337 c.p. e quella contenuta nell’art. 186 c.p.m.p., le quali sono in
rapporto di specialità reciproca parte per aggiunta (le norme degli artt. 336 e 337 c.p. rispetto
a quella dell’art. 186 c.p.m.p., per la presenza dell’elemento aggiuntivo del dolo specifico),
parte per specificazione (la norma dell’art. 186 c.p.m.p. rispetto a quelle degli artt. 336 e 337
c.p., poiché la prima contiene come elemento specificante la qualifica del soggetto attivo del
reato).
(7) Marini G., Sub art. 103, comma 3, in Commentario alla costituzione, cit., p. 2003.
(8) Cass. pen., Sez. VI, Sent. 20 dicembre 2019, n. 51581 (rv. 277572-01): “Integra il delitto di
resistenza a pubblico ufficiale e non quello di violenza contro un inferiore, di cui all’art. 195
cod. pen. mil. pace, la condotta del carabiniere che usi violenza nei confronti di colleghi di
grado inferiore al fine di opporsi al compimento di un atto d’ufficio, in quanto la connota-
zione finalistica del delitto comune determina la lesione dell’interesse al buon andamento
della pubblica amministrazione, mentre il delitto speciale tutela esclusivamente l’ordinamento
militare”.
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