Page 65 - Rassegna 2023-2
P. 65
LA TUTELA PENALE DEL PATRIMONIO CULTURALE INVISIBILE (O INCOGNITO)
in modo eclatante da J. J. Rousseau, quando imputava la sovranità politica all’in-
sieme dei cittadini. Da qui deriva che qualunque oggetto radicato in Italia che
presenti interesse storico artistico, e quindi concorra allo sviluppo della cultura,
- chiunque se sia il proprietario, sia censito o non sia censito, sia incluso o meno
nelle raccolte pubbliche - pertiene al “patrimonio storico e artistico” di quella
peculiare persona giuridica in cui consta il popolo italiano, al fine della conser-
vazione della memoria storica , in vista della salvaguardia dell’identità naziona-
(5)
le e nella prospettiva dell’interesse delle generazioni future. Nella valorizzazione
di una sorta di servitù pubblica gravante su ogni cosa d’arte, a prescindere dal
regime giuridico dominicale, si rinviene il significato profondo della celebre
definizione gianniniana secondo cui il “bene culturale è pubblico non in quan-
to bene di appartenenza, ma in quanto bene di fruizione” : ciò vale per ogni
(6)
componente del patrimonio culturale, nota o incognita.
In secondo luogo, all’acme di una vicenda plurisecolare, iniziata non più
tardi del 1733 , i padri costituenti nel 1948 nel porre la tutela del paesaggio e
(7)
del patrimonio storico e artistico della Nazione tra i principi fondamentali
dell’Ordinamento, si astennero dall’insistere su specifici oggetti, piuttosto inclu-
dendo tutti i beni caratterizzati da interesse culturale in un complesso unitario,
il patrimonio storico artistico. All’uopo, è sufficiente analizzare in chiave dia-
cronica i lavori preparatori della norma poi confluita nell’art. 9 Cost. per con-
statare il progressivo ampliamento (e chiarimento) del concetto a cui i costi-
tuenti intendevano riferirsi: in pochi mesi si passò dalla proposta Marchesi-
Lombardi nella prima Sottocommissione (i Monumenti storici, artistici e natu-
rali del Paese costituiscono un tesoro nazionale e sono posti sotto la vigilanza
dello Stato), alla proposta Marchesi-Moro del 18 ottobre 1946 (i monumenti
(5) S. Settis, Presentazione, in AA.VV. Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di
Leone, Tarasco, Cedam, Padova, 2006, p. XXV.
(6) M. S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim.dir. pubbl., 1976, I, p. 31.
(7) Invero l’art. 9 ha radici lontane, costituisce il vertice di una storia iniziata in Italia molto
tempo prima dell’unità nazionale (e della stessa formazione dell’idea di unità nazionale), tra
il 1725 e il 1755, allorquando nacque e si sviluppò l’esigenza di porre un freno all’emorragia
di antichità in direzione degli stati europei “per il pubblico decoro” e per “il gran vantaggio
del pubblico e del privato bene” (editto del camerlengo Card. Albani, del 1733), per “orna-
mento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei forestieri”
(Convenzione del 31 ottobre 1737, tra Francesco Stefano Lorena e Anna Maria Luisa de
Medici). Ancor più dei testi normativi rileva un gesto plateale, la riconsegna al nuovo re di
Napoli da parte di Carlo di Borbone, in procinto di partire per la Spagna, nel 1759, di un
antico anello estratto dal sottosuolo di Pompei, a riprova del grado di avanzamento dell’idea
dell’appartenenza collettiva delle opere d’arte. Contenuto in nuce nelle Prammatiche napole-
tane LVII e LVIII, del 1755 e dall’editto del cardinal Pacca, del 1819, dopo la tempesta napo-
leonica, il principio del vincolo del pubblico interesse sulle cose d’arte di proprietà privata
vedeva la luce, in piena età giolittiana, con la legge n. 364 del 1909, trovando ampio sviluppo,
mutati i climi, con le leggi cosiddette Bottai nn. 1089 e 1497 del 1939.
63