Page 38 - Rassegna 2023-2
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DOTTRINA




                  Per quanto attiene l’onere probatorio, la pubblica accusa deve provare,
             seguendo il criterio dell’id quod plerumque accidit, la sproporzione tra i beni, il
             denaro o altre utilità e il tenore di vita del condannato, laddove al condannato
             spetta  un  onere  di  mera  allegazione  circa  la  liceità  della  loro  acquisizione  e
             detenzione, escludendo così gli estremi di un’inversione dell’onere probatorio, da
             alcuni paventata, assolutamente contraria ai principi costituzionali penalistici.
                  I contrasti maggiori tra gli studiosi hanno riguardato, fin dal 1992, ma
             soprattutto a seguito degli ultimi interventi riformatori, il novero dei reati pre-
             supposto, e la tendenza ad annoverarvi reati sempre più lontani dalla criminalità
             organizzata, e incapaci di fondare la presunzione di un’attività illecita del sog-
             getto stabile e duratura, come di natura professionale, a seguito di verifica della
                                                                                      (10)
             sproporzione tra i beni detenuti e il reddito o attività economica dichiarati ,
             presunzione che opera al fine di evitare ulteriori conseguenze dalla detenzione
             di tali beni, e che può operare però solo se conforme ai principi costituzionali
             di cui agli artt. 24 e 27 Cost.
                  L’evoluzione delineata però ha registrato anche qualche inversione di ten-
             denza. Mentre l’allora art. 12-sexies del d.l. 306/1992 aveva visto estendere la sua
             operatività, ad opera della legge n. 161/2017, anche ad eredi ed aventi causa del
             condannato, e anche a seguito di pronuncia di estinzione del reato per prescri-
             zione o amnistia, il d.lgs. n. 21/2018 ha proceduto ad inserire tali ampliamenti
             nel Codice di procedura penale, rispettivamente agli artt. 183-quater, comma 2,
             disp. att. c.p.p. e 578-bis c.p.p., frammentando la disciplina tra codice penale e di
             procedura penale ed in più articoli.
                  Lo stesso criterio è stato seguito nel 2018 in relazione ai delitti in materia
             doganale e di sostanze stupefacenti: all’inclusione di tali delitti direttamente nel
             testo del previgente art. 12-sexies, l’ultimo intervento riformatore ha preferito la
             tecnica del rinvio all’art. 240-bis c.p., ad opera delle singole discipline settoriali,
             lasciando alla norma del codice penale la sola struttura generale dell’istituto.
                  Nell’ambito del genus della confisca, si suole poi distinguere tra confisca
             diretta e confisca per equivalente Altra peculiarità dell’art. 240-bis c.p. attualmen-
             te vigente, attiene il suo disciplinare in un’unica norma sia la prima che la secon-
             da, a differenza della confisca ordinaria di cui al precedente art. 240 c.p., che non
             contempla l’ipotesi della confisca per equivalente. Generalmente, inoltre, mentre
             la confisca diretta richiede un legame da comprovare tra il bene e il reato per cui

             (10)  Il riferimento è alla legge n. 296/2006, che ha inserito nell’elencazione dei reati presupposto
                  tutti i delitti contro la Pubblica Amministrazione. Si pensi ai delitti di peculato mediante pro-
                  fitto dell’errore altrui che, a differenza della corruzione, è difficilmente riconducibile alla cri-
                  minalità organizzata. Cfr. S. Milone, La confisca allargata al banco di prova della ragionevolezza e
                  della presunzione di innocenza, www.lalegislazionepenale.eu, 1° giugno 2018.

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