Page 86 - Rassegna 2022-3
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DOTTRINA




                  È  tuttavia  evidente  che  l’inutilizzabilità  dei  risultati  delle  intercettazioni
             illegittimamente acquisite è un rimedio postumo, attivabile - come innanzi evi-
             denziato - solo qualora il divieto non abbia patologicamente operato, mentre
             sarebbe stato più opportuno prevedere a monte l’impossibilità di ascoltare le
             intercettazioni difensive in quanto illegittime.
                  Ciò nondimeno, la clausola di salvezza di cui all’art. 271 c.p.p., presente
             nell’incipit/ dell’art.  103,  comma  7,  c.p.p.,  denota  la  volontà  di  regolamentare
             secondo il principio di sussidiarietà la relazione tra le due norme. Così, alle
             intercettazioni illegittime che coinvolgono le conversazioni tra difensore e assi-
             stito si applica la disciplina speciale di cui all’art. 103, comma 7, c.p.p.
                  Ne consegue, in prima battuta, l’assoluto divieto di captazione: l’operatore
             giudiziario che vi sia preposto ha il dovere di interrompere immediatamente le
             operazioni d’intercettazione nell’istante in cui prende atto che si tratti di una
             captazione illegittima, in quanto intercorrente tra assistito e difensore nell’eser-
             cizio delle sue funzioni, dandone conto nel relativo verbale.
                  Purtroppo,  questo  quadro  teorico  è  di  difficile  attuazione  nella  prassi
             applicativa, laddove gli organi inquirenti, pur non utilizzando processualmente
             i risultati delle captazioni, dovessero sfruttare gli stessi a supporto delle indagi-
             ni, dunque per il conseguimento di fini endo-investigativi. Rispetto al rischio di
             ingerenza nel rapporto confidenziale tra difensori ed assistiti, la sanzione della
             inutilizzabilità rischierebbe di apparire tardiva e insufficiente, oltre che fittizia,
             perché nei fatti essa opera solo dopo che l’autorità giudiziaria è venuta a cono-
             scenza del contenuto dei dialoghi riservati, con grave pregiudizio per le garanzie
             difensive, oltre che per la parità in armi a presidio di un sano contraddittorio.
                  Del  resto,  l’attivarsi  di  numerose  Procure,  a  contrasto  del  fenomeno
             descritto, attraverso l’elaborazione di linee guida che indichino comportamenti
             utili a preservare la segretezza delle comunicazioni dei difensori con i loro assi-
             stiti,/dimostra l’esistenza di una dilagante prassi operativa.
                  Come innanzi evidenziato, la previsione di cui al comma 7 dell’art. 103
             c.p.p., nel ribadire e rafforzare, il divieto di utilizzazione dei risultati delle cap-
             tazioni illegittime, precisa che, qualora si incorra “comunque” nell’intercettazio-
             ne di comunicazioni e conversazioni tra team difensivo e assistito, il loro conte-
             nuto non può formare oggetto di trascrizione alcuna, neppure in forma som-
             maria; il verbale delle operazioni deve limitarsi ad indicare la data, l’ora, nonché
             il dispositivo su cui la registrazione è stata eseguita.
                  Come può notarsi, null’altro viene disposto in ordine alle sorti delle comu-
             nicazioni “comunque” intercettate, evidentemente destinate ad essere distrutte,
             in  applicazione  della  disciplina  generale  di  cui  all’art.  271,  comma  3,  c.p.p.,

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