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L’INVIOLABILITÀ DELLE CONVERSAZIONI E DELLE COMUNICAZIONI DIFENSIVE




                     Tuttavia - a differenza di quanto accade rispetto agli altri mezzi di ricerca
               della prova - lo stesso legislatore opta per l’elaborazione di una regola invalidante
               ad hoc (art. 271 c.p.p.) che si affianca al dettato più generale dell’art. 191 c.p.p.,
               per cui «le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non pos-
               sono essere utilizzate». Si tratta di un’ipotesi di inutilizzabilità “rafforzata” dalla
               distruzione delle captazioni inutilizzabili, salvo che queste costituiscano corpo
               del reato (art. 271, comma 3, c.p.p.). Non solo: il codice non si è limitato a vie-
               tare l’utilizzo di intercettazioni illegittime ma ha introdotto un’ulteriore prescri-
               zione,  che  circoscrive  entro  confini  ristrettissimi  l’impiego  di  quelle  legali,
               acquisite in “procedimenti diversi” da quelli in cui le stesse sono disposte (art.
               270 c.p.p.).
                     Queste speciali ipotesi di inutilizzabilità patologica, al pari di quelle ricava-
               bili dall’art. 191 c.p.p., rappresentano vizi in grado di comprimere il compendio
               di prove raccolte, sottraendo al giudice elementi conoscitivi funzionali alla rico-
               struzione dei fatti.
                     Per quanto specificamente concerne il divieto di captazione delle comuni-
               cazioni tra difensore e assistito, la previsione di cui all’art. 103, comma 5, c.p.p.
               rappresenta uno sbarramento ineludibile: avuto riguardo al tenore letterale della
               disposizione è inibita la verifica sui contenuti della conversazione.
                     Nondimeno,/la recente riforma della disciplina delle intercettazioni, ideal-
               mente tesa a rafforzare/le garanzie di riservatezza dei colloqui tra difensore e
               assistito, ritocca sensibilmente il contenuto dell’art. 103, comma 7, c.p.p., inci-
               dendo sui profili operativi e sul ruolo degli investigatori.
                     Il legislatore, con il citato d.lgs. n. 216 del 2017, si preoccupa di disciplina-
               re le ipotesi di violazione del divieto, introducendo una nuova ipotesi di inuti-
               lizzabilità nell’inciso finale del comma 7, dell’art. 103 c.p.p., alla luce del quale:
               “salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’articolo 271 c.p.p., i risultati delle
               ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunica-
               zioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere
               utilizzati.
                     Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comu-
               nicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non
               può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni
               sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è inter-
               venuta”.
                     Detta previsione rappresenta una sorta di paracadute, per il caso in cui ci
               si sia imbattuti, occasionalmente e in modo involontario, in una conversazione
               che coinvolga difensore e assistito.


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