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L’INVIOLABILITÀ DELLE CONVERSAZIONI E DELLE COMUNICAZIONI DIFENSIVE




               ancorché  sarebbe  stata  più  opportuna,  secondo  i  primi  commentatori  della
               riforma, una disciplina speciale più penetrante ed incisiva, articolata sull’imme-
               diata interruzione e sulla conseguente distruzione delle registrazioni illegittime.
                     In  altri  termini,  l’ampliamento  delle  maglie  dell’art.  103,  comma  7,
               c.p.p., sembra prendere atto della diffusa violazione del divieto di intercetta-
               zione delle conversazioni e/o comunicazioni tra difensore ed assistito, senza
               formulare un rimedio efficace. Il giudice non potrà formare il suo convinci-
               mento tenendo conto dei risultati di dette captazioni, secondo quanto già
               previsto nella versione originaria della disciplina, ma la garanzia apprestata è
               solo apparente, poiché la disciplina così concepita presidia, in modo incom-
               pleto,  solo  la  segretezza/riservatezza  «esterna»  delle  comunicazioni  tra
               difensori e assistito, ma non preclude la conoscenza “interna” da parte degli
               organi inquirenti, i quali possono ascoltare i contenuti di dette comunicazio-
               ni  (senza  riportarle  a  verbale)  per  cogliere  dati,  informazioni  e  strategie
               difensive,  con  evidente  violazione  del  diritto  di  difesa  e  della  parità  delle
               parti processuali.
                     Come già anticipato,/il legislatore avrebbe potuto optare per l’immediata
               interruzione delle captazioni, con stralcio e distruzione del materiale illegittima-
               mente percepito, di cui non dovrebbe assolutamente restare alcuna traccia.
                     Al contrario, pur non essendo oggetto di trascrizione (neppure sommaria)
               nel verbale delle operazioni, l’“annotazione” non è espressamente vietata ed
               anzi è necessaria (con indicazione degli stremi della conversazione, della data e
               dell’ora). Così, l’ufficiale di polizia giudiziaria, preposto alle operazioni d’inter-
               cettazione, potrà (ed anzi dovrà) annotare il contenuto delle captazioni in attesa
               di confrontarsi con il pubblico ministero per stabilire le sorti delle stesse, perché
               in dubbio sui contenuti che potrebbero esulare dallo svolgimento dell’attività
               difensiva, ovvero al limite con l’integrare una fattispecie criminosa.
                     Il pubblico ministero, cui è rimesso il monopolio della valutazione in ordi-
               ne alla trascrizione delle intercettazioni, preso atto della violazione della norma
               di cui all’art. 103, comma 5, c.p.p., dovrà a sua volta richiedere al giudice la
               distruzione del materiale illegittimamente intercettato, per apprestare una tutela
               più  immediata,  in  virtù  dell’espresso  richiamo  alla  disciplina  generale  di  cui
               all’art. 271, comma 3, c.p.p., riportato nell’art. 103, comma 7, c.p.p.
                     Il rimedio appare, in definitiva, poco convincente per le intercettazioni
               delle conversazioni tra difensore e assistito, perché il giudice dovrebbe disporre
               la  distruzione  della  documentazione  in  questione,  salvo  che  non  costituisca
               corpo del reato, paradossalmente dopo averla esaminata in contraddittorio tra
               le parti, apprendendone comunque il contenuto.


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