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STUDI MILITARI




                  Nel mezzo dell’accampamento viene innalzato un tempio che consiste in
             un recinto chiuso ai quattro lati e coperto da un panno di lino. All’interno un
             sacerdote, un certo Ovio Paccio, ripetendo un rituale già celebrato dai Sanniti
             nell’impresa militare per la conquista di Capua agli Etruschi, officia un sacrificio
             cruento di animali, secondo il rito descritto nel sacro libro. Celebrato il sacrifi-
             cio il comandante convoca i più nobili e coraggiosi fra i convenuti. Uno ad uno
             essi vengono introdotti all’interno del tempio e portati all’altare. A ciascuno
             viene chiesto di giurare che non avrebbe riferito ad alcuno quanto visto e udito.
             Dopo di che, ciascuno viene obbligato ad un ulteriore, terribile, giuramento
             mediante il quale sotto minaccia della propria persona, di quella dei parenti e
             della propria stirpe, assume l’obbligo di fedeltà nei confronti della persona del
             Comandante: deve promettere solennemente di combattere in qualsiasi posto
             assegnato, di non allontanarsi dalla schiera e di abbattere a vista chiunque voles-
             se fuggire.
                  Nonostante il tempio fosse disposto in modo da prevenire o vincere ogni
             eventuale resistenza, i primi chiamati, frastornati, tentano di opporre un rifiuto
             e, istantaneamente, vengono raggiunti dalla spada dei centurioni che, all’interno
             del tempio, sono in piedi lungo le pareti a presidiare l’adempimento del rito. I
             cadaveri degli uccisi, insieme con le carcasse degli animali sacrificati, giacciono
             accanto  all’altare,  come  spaventoso  monito  per  gli  altri.  Poi,  fra  coloro  che
             hanno prestato giuramento, il comandante designa dieci uomini e affida loro il
             compito di scegliere ciascuno un altro e così via, fino a quando viene formato
             un corpo di sedicimila uomini. Questo procedimento è detto vir virum legere e, in
             seguito, tale espressione verrà ripresa per indicare uno specifico modo di com-
             battere dei romani.
                  L’autore conclude il racconto precisando che il ritus sacramenti sannita, in
             qualche modo equiparabile ai riti degli indiziati, è il mezzo mediante il quale
             viene creato, con il favore degli dei, un nuovo stato personale: lo status militis. Il
             rito proseguirà in epoca successiva per opera dei romani, esso assumerà il nome
             di sacramentum militiae romano; in quanto anche i romani ricollegavano a tale rito,
             oltre alla funzione che era propria del comune giuramento, una funzione pro-
             priamente sacramentale.
                  I milites romani, infatti, erano chiamati anche “sacrati”. Essi, mediante il
             giuramento solenne, si legavano per sempre al comandante, e, a seguito del rito
             sacro, ricevevano un supplemento di forza, di coraggio e di purezza. Da questa
             atmosfera ammantata di sacralità e rinnovata purezza trovò facile accoglienza la
             regola dell’onore militare come prerogativa dello status militis, che ancora oggi
             sopravvive in alcune norme che regolano avanzamenti, trasferimenti, sanzioni
             di corpo e note caratteristiche.


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