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                                                DOTTRINA



                    Svanito il primo tentativo di rimettere la questione alle Sezioni Unite, il
               pensiero del Primo Presidente fu presto sconfessato con la sentenza emessa nel
               processo Alba Chiara in cui, in linea con le sentenze Garcea e Romeo, si ritenne
               che le “locali” sono articolazioni di organizzazioni mafiose tradizionali in col-
               legamento  con  la  casa  madre  e,  «una  volta  raggiunta  la  prova  dei  connotati
               distintivi della ‘ndrangheta e del collegamento con la casa madre, la nuova for-
               mazione associativa è già in sé pericolosa per l’ordine pubblico, indipendente-
               mente dalla manifestazione di forza intimidatrice nel contesto ambientale in cui
               è radicata» .
                         (18)
                    Con la sentenza relativa al processo Infinito, si è registrato un tentativo
               maldestro di sovrapporre i due orientamenti e di incardinare la forza di intimi-
               dazione in una doppia dimensione potenziale ed effettuale. Tentativo maldestro
               perché, se da un lato nella pronuncia si è ritenuta la necessità che l’associazione
               sia in grado di sprigionare una «capacità di intimidazione non solo potenziale, ma
               attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile», dall’altro si è però affermato
               che «detta capacità di intimidazione potrà, in concreto, promanare dalla diffusa con-
               sapevolezza del collegamento con l’associazione principale, oppure dall’esterioriz-
               zazione in loco di condotte integranti gli elementi previsti dall’art. 416-bis c.p.» .
                                                                                         (19)
               È evidente, dunque, come una simile rilettura del metodo mafioso sia del tutto
               innovativa non seguendo semplicemente l’evoluzione del fenomeno mafia, ma
               riscrivendo una diversa disposizione che sopravvaluta la natura di reato di peri-
               colo e, svuotando di significato il metodo mafioso, abbandona il modello di
               reato a struttura mista previsto dal legislatore.
                    L’intervento non è di poco conto se si considera la peculiarità del reato
               di cui all’art. 416-bis c.p. ove, come si è già evidenziato, tra gli scopi dell’as-
               sociazione, sono inseriti anche fini astrattamente leciti che si connotano di
               illiceità proprio perché perseguiti attraverso lo sfruttamento della forza di
               intimidazione e del vincolo di assoggettamento e omertà che ne deriva. Una
               simile interpretazione ha, di fatto, creato un nuovo ‘tipo’ rispetto a quello
               previsto dal legislatore, in contrasto con il principio di tipicità oltreché con
               quello di prevedibilità, e i contrasti giurisprudenziali sulla sua ammissibilità
               hanno contribuito a rendere la materia ancora più imprevedibile. Nonostante
               il  secondo  tentativo  di  rimettere  la  questione  alle  Sezioni  Unite,  il  Primo
               Presidente,  come  si  è  accennato,  ha  ritenuto  solo  apparente  il  contrasto

               (18)  Cass. Pen., sez. Quinta, 3 marzo 2015, sent. n. 31666, in Dir. Pen. Cont., 5 ottobre 2015, con
                    nota di VISCONTI, I giudici di legittimità ancora alle prese con la “mafia silente” al nord: dicono di pen-
                    sarla allo stesso modo, ma non è così.
               (19)  Cass. Pen., sez. Seconda, 21-30 aprile 2015, sent. n. 34147, in Dir. Pen. Cont., 5 ottobre 2015,
                    con nota di VISCONTI, I giudici di legittimità ancora alle prese con la “mafia silente” al nord, cit.
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