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MISSILI: UN SISTEMA DI DETERRENZA FONDATO
SULLA CONTINUA RICERCA E SPERIMENTAZIONE
Furono individuati tre campi di fondamentale interesse nei quali appro-
fondire le indagini.
Tali aree di indagine riguardavano:
➣ i mezzi di sorveglianza;
➣ i sistemi d’arma convenzionali e a energia diretta;
➣ i sistemi di comando e controllo.
Si delineò così, la possibilità di realizzare un sistema di difesa a più strati,
ciascuno caratterizzato da una efficacia elevata, con un grado di impenetrabilità
globale notevole.
Le realizzazioni dei primi prototipi nei diversi settori, incluso quello delle
“armi a energia diretta”, ottennero notevoli progressi negli anni Ottanta. Ne
scaturì l’esigenza di rivedere le impostazioni del programma Ballistic Missile
Defence (BMD) varato agli inizi degli anni Settanta e fondamentalmente basato
su tecnologie sfruttanti l’energia nucleare.
In effetti, in conseguenza dei suggerimenti formulati dalla comunità scien-
tifica, che non prevedevano l’impiego diretto dell’energia nucleare per scopi di
difesa, il progetto BMD si trasformò nel più ampio progetto Strategic Defense
Initiative (SDI).
Gli studi e le ricerche relative a questo progetto non escludevano l’adozio-
ne sia di tecnologie classiche, ormai sperimentate e acquisite, sia di tecnologie
connesse con la generazione di fasci energetici di fotoni o di radiazioni di par-
ticelle subatomiche.
L’impiego di differenti tecnologie nella difesa contro i missili balistici era
legato, infatti, alle caratteristiche della loro traiettoria che consentivano tre
distinte fasi di intervento:
➣ la prima, della durata di circa tre-cinque minuti e durante la quale i mis-
sili venivano intercettati ed attaccati in fase di propulsione;
➣ la seconda, di volo balistico, della durata di circa venti minuti, durante la
quale gli ordigni nucleari sfuggiti alla precedente maglia venivano intercettati e
neutralizzati al di sopra dell’atmosfera terrestre. In questa fase, però, sia le testa-
te nucleari sia i veicoli inerti aventi funzione di inganno (decoys) erano stati già
liberati; il numero dei bersagli si moltiplicava, dunque, da dieci-quindici volte. Si
otteneva il cosiddetto effetto a grappolo, ovvero da un unico vettore venivano
sganciati più ordigni nucleari;
➣ la terza, di rientro nell’atmosfera terrestre, durante la quale gli ordigni
nucleari venivano intercettati e neutralizzati prima dello scoppio. Di conseguen-
za, essendo verosimilmente sceso il numero di testate poiché alcune erano state
colpite nelle precedenti fasi, il sistema difensivo doveva avere un numero ragio-
nevolmente basso di bersagli da distruggere.
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