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Il reato di ingiuria tra militari supera l’esame della Corte costituzionale
Dottor Giuseppe MAZZI
(Presidente di Sezione della Corte Militare di Appello)
Premessa
Un pur breve commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 215/2017,
che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 226 c.p.m.p., non può che iniziare dall’esame delle norme che hanno
stabilito l’abrogazione dell’art. 594 c.p., con i conseguenti dubbi di legittimità
costituzionale sulla perdurante punibilità dei fatti di ingiuria commessi da mili-
tari nei confronti di altri militari, espressi dalla Corte Militare di Appello nelle
ordinanze di rimessione. Si potrebbe essere indotti a pensare che l’abrogazione
di una fattispecie così radicata nel nostro sistema penale, come quella dell’ingiu-
ria, con l’introduzione di una innovativa sanzione civile per i fatti di offesa all’al-
trui onore e decoro, sia stata preceduta da un dibattito consapevole e approfon-
dito in sede parlamentare sul significato che assume nella società attuale la tutela
dell’onore (anche in relazione al “complementare” delitto di diffamazione) e
sulla possibilità di rinunciare alla sanzione penale .
(1)
Nulla di tutto ciò. A scorrere in particolare il testo del resoconto della
seduta della Camera dei deputati del 1° aprile 2014, relativa alla approvazione
della legge n. 67 del 2004 (in attuazione della cui delega il D.Lgs. 7/2016 ha
abrogato l’art. 594 c.p.) si constata che la parte preponderante della discussione
(1) L’art. 2 della legge n. 67/2014, contenente la “Delega al Governo per la riforma della discipli-
na sanzionatoria”, nasce dall’innesto, in altro d.d.l., n. 925, già approvato dalla Camera dei
deputati, del d.d.l. n. 110 presentato al Senato della Repubblica il 15 marzo 2013 dai senatori
Palma e Caliendo: il relativo emendamento era quindi riformulato e presentato dal sen.
Casson. Nella Relazione del d.d.l. n. 110 si specifica solo che “con riferimento alla decriminalizza-
zione dei reati di ingiuria e diffamazione, va precisato che la tutela dell’onore trova la sua sede naturale nella
giurisdizione civile, soprattutto in ragione della scarsa capacità general-preventiva delle norme penali in questo
settore. Inoltre, tale scelta produce un immediato beneficio sul carico degli uffici giudiziari”. Nel testo defi-
nitivo approvato dal Senato era poi esclusa la depenalizzazione del delitto di diffamazione e,
nella successiva Relazione orale alla Camera dei deputati, il 24 marzo 2014, del Relatore On.le
Ferranti, l’abrogazione dell’art. 594 c.p. viene genericamente richiamata nella parte in cui si
afferma che: “sono indicati poi specifici reati contenuti nel codice penale… quei comportamenti che non
hanno quel grave disvalore sociale tale da prevedere, appunto, la repressione in termini penali”.
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