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PANORAMA DI GIUSTIZIA MILITARE


               (essendo  indubbio  che  può  essere  chiamato  a  rispondere  del  reato  solo  chi
               abbia piena consapevolezza delle prescrizioni che si assumono violate) bensì la
               configurazione del fatto tipico. In questa prospettiva, soprattutto nella dottrina
               e nella giurisprudenza formatesi negli anni ottanta, ci si era chiesti se la conse-
               gna,  così  come  intesa  nell’ambito  della  fattispecie  penale  di  cui  all’art.  120
               c.p.m.p., venga a esistenza solo a condizione che le prescrizioni comportamen-
               tali che ne costituiscono il contenuto siano comunicate in modo esplicito e per-
               sonale al militare interessato dall’autorità che dispone il servizio (con conse-
               guente  necessità  di  dimostrare  in  giudizio  l’effettività  della  comunicazione)
               oppure se tale conoscenza possa derivare da fonti cognitive diverse.
                    È evidente che la tesi più rigorosa non lascerebbe alcuno spazio per il rico-
               noscimento della consegna se non in presenza di una formale comunicazione,
               ribadita personalmente al militare prima dell’inizio del servizio, del suo integrale
               contenuto.
                    Un  tale  approdo  interpretativo,  anche  se  per  certi  versi  comprensibile
               sotto il profilo della necessità che il soggetto comandato sia posto a conoscenza
               dello specifico servizio a cui è destinato, in passato è stato spesso applicato in
               maniera tanto radicale da portare a escludere la rilevanza di qualsiasi disposizio-
               ne di carattere generale che non fosse stata esplicitamente trasmessa, all’atto di
               intraprendere il servizio, al militare tenuto ad osservarla. In particolare sia la
               dottrina sia la giurisprudenza prevalenti negli anni ottanta avevano posto l’ac-
               cento sulla locuzione “consegna avuta”, utilizzata dal codice, che lascerebbe
               intendere la necessità di una “traditio” e, quindi, di un provvedimento indivi-
               duale, specificamente rivolto al singolo militare, contenente nel dettaglio tutte
               le disposizioni da osservare nello svolgimento del servizio .
                                                                        (5)
                    Il citato orientamento risentiva, a nostro avviso, della particolare conside-
               razione rivolta alla condizione dei militari di leva, i quali rappresentavano la
               grande maggioranza dei soggetti di fatto impegnati nello svolgimento di servizi


               (5) In tal senso, tra le altre: Corte Militare d’Appello, Sez. Dist. Verona, 19 ottobre 1984, ABATE,
                   in RASS. GIUST. MIL. 1985, pag. 729; Corte Militare d’Appello, Roma, 5 giugno 1985, BOTTINI,
                   ivi, 1985, pag. 599; Cass., Sez. I, 29 ottobre 1986, BRUZZESI, ivi, 1987, pag. 93.
                   In dottrina, con opportuni distinguo e per un quadro più completo di tale impostazione, si
                   vedano: G. ROSIN, Considerazioni, op. cit., pagg. 423 e ss. D. BRUNELLI, voce Violazione di conse-
                   gna e abbandono di posto, in ENC. DIR., vol. XLVI, Giuffrè, 1993, pag. 794.

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