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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE



                  Jurij Vladimirovič nutriva grande ammirazione per gli “illegali” e si inte-
             ressava attivamente su come sviluppare questo difficile ambito cospirativo e
             voleva essere informato su tutte le loro operazioni, alcune delle quali conosceva
             nei dettagli. Va detto che rispetto agli agenti legali, gli illegali conducevano una
             vita  particolarmente  dura.  Anzitutto  si  trovavano  completamente  soli  in  un
             paese straniero, con la prospettiva di dovervi restare per anni e talvolta persino
             decenni. In secondo luogo dal punto di vista psicologico erano sottoposti alla
             pressione della doppia identità e alla costruzione dell’intera rete dei loro rappor-
             ti personali in base ad informazioni fittizie. Sapevano che, anche in occasione
             di grandi successi, per loro non ci sarebbero stati tappeti rossi e ricevimenti
             solenni e che i riconoscimenti che avessero ottenuto sarebbero stati conferiti in
             segreto e segreti sarebbero rimasti anche per le loro famiglie. Andropov teneva
             molto a poter incontrare gli agenti illegali, quando possibile voleva decorarli
             personalmente e si intratteneva con loro .
                                                    (12)
                  Il 20 giugno 1971 il PGU si trasferì a Jasenevo , nei sobborghi sudocci-
                                                               (13)
             dentali di Mosca, in un enorme complesso progettato per il Comitato Centrale,
             ma  poi  giudicato  troppo  lontano  dal  centro  e  ceduto  ai  servizi  segreti.  Qui
             Andropov volle disporre di un proprio ufficio, in cui veniva in media uno o due
             giorni a settimana. Fra le molte personalità che hanno fatto la storia dello spio-
             naggio estero sovietico ce n’è una che, per qualità personali e per le contingenze
             storiche che l’hanno vista impegnata, ha assunto tratti autenticamente leggen-
             dari. Jurij Ivanovič Drozdov è già stato evocato più volte, ma si rende ora neces-
             saria una disamina più approfondita della sua biografia e del contributo che egli
             ha recato all’attività del PGU. Nato a Minsk il 19 settembre 1925, figlio di un
             ufficiale passato dalla parte dei bolscevichi, durante la Seconda Guerra mondia-
             le partecipò alla battaglia di Berlino e dopo la fine del conflitto frequentò i corsi
             del prestigioso Istituto militare di lingue straniere, specializzandosi in lingua
             tedesca, che arrivò a padroneggiare alla perfezione. Trasferito al KGB, nel 1958
             venne inviato alla rappresentanza presso la Stasi, dove i colleghi tedesco orien-
             tali rimasero impressionati non solo dalla sua conoscenza della lingua, ma anche

             (12)  Negli anni Settanta venne a Mosca un illegale tedesco, arruolato subito dopo la fine della
                  guerra dai servizi sovietici, per ricevere l’Ordine della Bandiera rossa. Il capo del KGB prese
                  parte alla piccola cerimonia in un appartamento clandestino, quindi si fermò a conversare
                  con l’agente per oltre due ore. Dopo la fine dell’incontro, ricorda Jurij Drozdov, allora capo
                  della sezione S (gli illegali appunto), Andropov uscì impressionato e disse: “Spiegami una
                  cosa Jurij Ivanovič, come è possibile che uno straniero che collabora con i servizi segreti,
                  difenda  gli  interessi  del  socialismo  meglio  di  molti  cittadini  sovietici?”.  Così  in.  JU.  I.
                  DROZDOV, Ju.V. Andropov i nelegal’naja razvedka, in A. G. SIDORENKO (a cura di), Andropov,
                  Artstil’-Poligrafija, Moskva, 2011, pag. 129.
             (13)  Cfr. J. HASLAM, Near and Distant Neighbours, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2015, pag.
                  11. A JASENEVO, che i čekisti chiamavano e continuano a chiamare “la foresta” (in russo les),
                  per i boschi che circondano la zona, ancora oggi si trova la sede del SVR.

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