Page 112 - Rassegna 2019-4
P. 112
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
Jurij Vladimirovič nutriva grande ammirazione per gli “illegali” e si inte-
ressava attivamente su come sviluppare questo difficile ambito cospirativo e
voleva essere informato su tutte le loro operazioni, alcune delle quali conosceva
nei dettagli. Va detto che rispetto agli agenti legali, gli illegali conducevano una
vita particolarmente dura. Anzitutto si trovavano completamente soli in un
paese straniero, con la prospettiva di dovervi restare per anni e talvolta persino
decenni. In secondo luogo dal punto di vista psicologico erano sottoposti alla
pressione della doppia identità e alla costruzione dell’intera rete dei loro rappor-
ti personali in base ad informazioni fittizie. Sapevano che, anche in occasione
di grandi successi, per loro non ci sarebbero stati tappeti rossi e ricevimenti
solenni e che i riconoscimenti che avessero ottenuto sarebbero stati conferiti in
segreto e segreti sarebbero rimasti anche per le loro famiglie. Andropov teneva
molto a poter incontrare gli agenti illegali, quando possibile voleva decorarli
personalmente e si intratteneva con loro .
(12)
Il 20 giugno 1971 il PGU si trasferì a Jasenevo , nei sobborghi sudocci-
(13)
dentali di Mosca, in un enorme complesso progettato per il Comitato Centrale,
ma poi giudicato troppo lontano dal centro e ceduto ai servizi segreti. Qui
Andropov volle disporre di un proprio ufficio, in cui veniva in media uno o due
giorni a settimana. Fra le molte personalità che hanno fatto la storia dello spio-
naggio estero sovietico ce n’è una che, per qualità personali e per le contingenze
storiche che l’hanno vista impegnata, ha assunto tratti autenticamente leggen-
dari. Jurij Ivanovič Drozdov è già stato evocato più volte, ma si rende ora neces-
saria una disamina più approfondita della sua biografia e del contributo che egli
ha recato all’attività del PGU. Nato a Minsk il 19 settembre 1925, figlio di un
ufficiale passato dalla parte dei bolscevichi, durante la Seconda Guerra mondia-
le partecipò alla battaglia di Berlino e dopo la fine del conflitto frequentò i corsi
del prestigioso Istituto militare di lingue straniere, specializzandosi in lingua
tedesca, che arrivò a padroneggiare alla perfezione. Trasferito al KGB, nel 1958
venne inviato alla rappresentanza presso la Stasi, dove i colleghi tedesco orien-
tali rimasero impressionati non solo dalla sua conoscenza della lingua, ma anche
(12) Negli anni Settanta venne a Mosca un illegale tedesco, arruolato subito dopo la fine della
guerra dai servizi sovietici, per ricevere l’Ordine della Bandiera rossa. Il capo del KGB prese
parte alla piccola cerimonia in un appartamento clandestino, quindi si fermò a conversare
con l’agente per oltre due ore. Dopo la fine dell’incontro, ricorda Jurij Drozdov, allora capo
della sezione S (gli illegali appunto), Andropov uscì impressionato e disse: “Spiegami una
cosa Jurij Ivanovič, come è possibile che uno straniero che collabora con i servizi segreti,
difenda gli interessi del socialismo meglio di molti cittadini sovietici?”. Così in. JU. I.
DROZDOV, Ju.V. Andropov i nelegal’naja razvedka, in A. G. SIDORENKO (a cura di), Andropov,
Artstil’-Poligrafija, Moskva, 2011, pag. 129.
(13) Cfr. J. HASLAM, Near and Distant Neighbours, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2015, pag.
11. A JASENEVO, che i čekisti chiamavano e continuano a chiamare “la foresta” (in russo les),
per i boschi che circondano la zona, ancora oggi si trova la sede del SVR.
110