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DOTTRINA





                  medesima intervista, si pone l’on. Orlando, ibidem, 196, secondo cui “Nel settore politico
                  [...] è carente una etica condivisa. Si carica così e impropriamente, sulla questione morale e
                  sulla questione legale la valutazione dei comportamenti. È l’esistenza di tale convenzione
                  etica tra le forze politiche che, in altri Paesi, determina l’applicazione di sanzioni politiche
                  e la selezione dei dirigenti politici e ciò a prescindere, e a volte anche in assenza di proce-
                  dimenti giudiziari. In Italia si carica, invece, la magistratura di un compito che le è estraneo
                  [...] esso è l’effetto diretto dell’assenza di regole etiche convenzionali nell’attività politica,
                  un’assenza espressa dalla ricorrente ed illuminante affermazione: ‘attendo l’esito del pro-
                  cesso’. Nei Paesi dotati, in politica, di codice etico non si attende l’esito del processo”.
             (76)  A fronte di frequenti manifestazioni di malcostume e di illegalità di alcuni nostri parlamen-
                  tari, non limitate ad esternazioni verbali e scritte improvvide (votazioni plurime affidate a
                  “pianisti”, risse, ingiurie, gesti osceni, minacce in aule parlamentari, occupazioni di tetti, con-
                  flitti di interesse, condanne penali per fatti anche extralavorativi spesso gravissimi, ecc.), gli
                  artt. 59-62 del regolamento della Camera e gli artt. 66 e 67 del regolamento del Senato pre-
                  vedono sanzioni disciplinari anormalmente lievi per i deputati e senatori (quella massima alla
                  Camera è “il richiamo formale” del presidente dell’Assemblea con “allontanamento fino a
                  giorni quindici dai lavori parlamentari”, che diventano solo dieci per i senatori ex art. 67,
                  comma 3, reg. Senato), non prevedendo, tra l’altro, sanzioni espulsive per fatti particolarmen-
                  te gravi. In particolare, il regolamento della Camera, ma analoghe disposizioni compaiono in
                  quello del Senato, si limita a sancire che:
                  “Art. 59. 1. Se un deputato pronunzia parole sconvenienti oppure turba col suo contegno la
                  libertà delle discussioni o l’ordine della seduta, il Presidente lo richiama nominandolo. 2. Ciascun
                  deputato che sia richiamato all’ordine, qualora intenda dare spiegazioni del suo atto o delle sue
                  espressioni, può avere la parola, alla fine della seduta, o anche subito, a giudizio del Presidente.
                  Art. 60. 1. Dopo un secondo richiamo all’ordine avvenuto nello stesso giorno, ovvero, nei
                  casi più gravi, anche indipendentemente da un precedente richiamo, il Presidente può dispor-
                  re l’esclusione dall’Aula per il resto della seduta, se un deputato ingiuria uno o più colleghi o
                  membri del Governo. 2. Se il deputato si rifiuta di ottemperare all’invito del Presidente di
                  lasciare l’Aula, il Presidente sospende la seduta e dà ai Questori le istruzioni necessarie per-
                  ché i suoi ordini siano eseguiti. 3. Il Presidente della Camera può altresì proporre all’Ufficio
                  di Presidenza la censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo
                  da due a quindici giorni di seduta, se un deputato fa appello alla violenza, o provoca tumulti,
                  o trascorre a minacce o a vie di fatto verso qualsiasi collega o membro del Governo, o usa
                  espressioni ingiuriose nei confronti delle istituzioni o del Capo dello Stato. Le decisioni adot-
                  tate dall’Ufficio di Presidenza sono comunicate all’Assemblea e in nessun caso possono esse-
                  re oggetto di discussione. Qualora poi il deputato tenti di rientrare nell’Aula prima che sia
                  spirato il termine di interdizione, la durata dell’esclusione è raddoppiata. 4. Per fatti di ecce-
                  zionale gravità che si svolgano nella sede della Camera, ma fuori dell’Aula, il Presidente della
                  Camera può proporre all’Ufficio di Presidenza le sanzioni previste nel comma 3.
                  Art. 61. 1. Quando sorga tumulto nell’Aula e riescano vani i richiami del Presidente, questi
                  abbandona  il  seggio  e  ogni  discussione  s’intende  sospesa.  Se  il  tumulto  continua,  il
                  Presidente  sospende  la  seduta  per  un  dato  tempo  o,  secondo  l’opportunità,  la  toglie.  In
                  quest’ultimo caso l’Assemblea o la Commissione s’intende convocata senz’altro, con lo stes-
                  so ordine del giorno, per il seguente giorno non festivo alla stessa ora di convocazione della
                  seduta  che  è  stata  tolta,  oppure  anche  per  il  giorno  festivo  quando  l’Assemblea  o  la
                  Commissione abbia già deliberato di tenere seduta in quella data.
                  Art.  62.  1.  I  poteri  necessari  per  il  mantenimento  dell’ordine  nella  Camera  spettano  alla
                  Camera stessa e sono esercitati in suo nome dal Presidente, che dà alla guardia di servizio gli
                  ordini necessari. 2. La forza pubblica, compresa la polizia giudiziaria, non può accedere alle
                  Aule della Camera, delle Giunte o delle Commissioni se non per ordine del Presidente della
                  Camera e dopo che sia stata sospesa o tolta la seduta. Per le Aule degli organi parlamentari
                  bicamerali, l’ordine è dato dal Presidente della Camera d’intesa con il Presidente del Senato.
                  3. La forza pubblica, compresa la polizia giudiziaria, non può accedere alla sede della Camera,
                  né  ad  alcun  locale  in  cui  abbiano  sede  organi  e  uffici  della  Camera  medesima  o  che  sia

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