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LA GIURISDIZIONE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE SUL TRAFFICO DI ESSERI UMANI



               rita da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
                    Ultima condizione per l’esercizio della giurisdizione della Corte è la com-
               plementarietà: la Corte è autorizzata a esercitare la sua giurisdizione solo quan-
               do le autorità statali non vogliano, o non possano, esercitare la giurisdizione
               domestica sulle condotte criminose. In altri termini, la giurisdizione della Corte
               ha natura residuale, ed entra in gioco solo a fronte del fallimento, colpevole o
               incolpevole, dell’attività sanzionatoria delle autorità statali. Non costituisce una
               condizione per l’esercizio della giurisdizione della Corte, ma è comunque parte
               della sua prassi operativa, la regola per cui solo coloro che sono “maggiormente
               responsabili” per determinate condotte diventano oggetto dell’attenzione della
               Corte. Questo criterio viene normalmente interpretato in modo formale, tenen-
               do conto del rango che l’autore riveste nella gerarchia, civile o militare, dello
               Stato. Chi, pur responsabile di un crimine, non rientra fra coloro che possono
               dirsi “maggiormente responsabili”, non resterà ovviamente impunito. Non sarà
               però di norma la Corte Penale Internazionale a esercitare su tali soggetti la sua
               giurisdizione. Questo approccio ha una ragione pratica, prima ancora che poli-
               tica: la razionalizzazione delle risorse impone che la più alta istanza giudiziaria
               penale internazionale si occupi, prima di tutto, di chi ha un ruolo chiave nel per-
               petrare la condotta criminale.
                    Distillati questi principi generali sul funzionamento della Corte, si può ora
               passare ad applicarli al caso specifico del traffico di essere umani in Libia, e
               negli altri Paesi indicati, per rispondere alla domanda centrale di questo articolo:
               potremo mai vedere i trafficanti di esseri umani che operano in Libia, o in Siria,
               o in Iraq, a processo davanti alla Corte de l’Aja?
                    Prima  di  rispondere  a  questo  interrogativo,  è  necessario  chiarire  un
               punto:  chi  sono  i  trafficanti  di  essere  umani?  Cosa  si  intende  con  questa
               espressione, che è si divenuta di uso comune, ma che ha una sua specificità tec-
               nico giuridica?
                    Con  l’espressione  “trafficanti  di  essere  umani”,  si  intendono  essenzial-
               mente due categorie di soggetti: in primo luogo, coloro che sono dediti al reclu-
               tamento, trasporto, trasferimento, all’ospitare o accogliere persone, tramite l’im-
               piego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di
               rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità
               o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso
               di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfrutta-
               mento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o
               altre  forme  di  sfruttamento  sessuale,  il  lavoro  forzato  o  prestazioni  forzate,
               schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi.


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