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LA PRESIDENZA TRUMP: CONSIDERAZIONI DI “MID-TERM”
A sorpresa, grazie forse a Pechino, un pò alla Corea del Sud, in buona
misura all’innegabile furbizia dell’autocrate nordcoreano, la relazione perico-
losa fra Washington e Pyongyang sembra oggi far intravedere spiragli di
distensione.
Lungi dal tentare una definizione anche solo vagamente completa delle
linee di politica estera statunitense, si vuole qui confermare, in chiusura, l’im-
pressione di una presidenza un pò al di fuori dagli schemi, intesa a puntare mas-
simamente sull’interesse interno, quindi necessariamente percepita all’esterno
come “negativa”, nelle forme e/o nella sostanza. Imprudente affermare che si
tratti di una sospensione o di un accantonamento del ruolo globale degli Stati
Uniti, inteso come prosieguo della Dottrina Truman.
Sgradevole pensare che siamo di fronte a una mera evoluzione di tale
ruolo a pura politica di supremazia, da parte di quella che oggi è ancora cer-
tamente la maggior potenza mondiale. Bisogna attendere i prossimi due anni
del mandato, sempre che evoluzioni politico-giurisdizionali interne america-
ne, addirittura nel senso di un più volte citato impeachment, non risolvano pre-
ventivamente i dubbi su questa presidenza. Ma la messa in stato di accusa del
presidente non è (ovviamente) regolata da un processo semplice e solo
l’emergere di clamorosi sviluppi, anzitutto nel ricordato “Russiagate”, potreb-
be condurre a tutt’altra consueta soluzione. Nixon la anticipò con le dimissio-
ni e Clinton riuscì, in qualche modo, a evitarla. I detrattori di Trump devono
avere pazienza.
Nel frattempo, siamo giunti a metà del mandato quadriennale e le elezioni
congressuali, proprie di questa importante scadenza istituzionale, hanno dato
un segnale di parziale mancato gradimento della politica di Trump. Alla Camera
dei rappresentanti, proiezione del popolo statunitense, i Repubblicani sono
risultati in minoranza: nulla di irrimediabile, vista la mancanza di vincoli costi-
tuzionali riconducibili alla necessaria fiducia del potere legislativo nei confronti
dell’esecutivo, ma si può ipotizzare una maggiore difficoltà dell’amministrazio-
ne nel far approvare leggi in armonia con l’attuale linea di governo. Al Senato,
dove sono le repubbliche federate a essere rappresentate (con evidenti parados-
si: il minuscolo Delaware ha due senatori come la California, che da sola
potrebbe rientrare nel G7!), Trump gode di una risicata maggioranza, non suf-
ficiente a mettere al riparo da espressioni di dissenso specifico, da parte di sin-
goli senatori.
Non appare ragionevole definire già in declino il “Trumpismo”. Vi è una
regola, certo non cogente, che induce il partito del presidente a dargli la chance
di rielezione.
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