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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE




                  E Donald Trump? Troppo presto per “classificarlo”, a neanche due anni
             dall’inizio  del  mandato,  sebbene  termini  come  sovranismo,  unilateralismo,
             populismo, protezionismo sembrino già affacciarsi alla mente di chi tenterà di
             applicargli  etichette  semplificatorie.  Alcune  considerazioni  appaiono  tuttavia
             proponibili, partendo dai fatti concreti. In primis, un pò di economia.
                  Gli Stati Uniti hanno sempre conosciuto fasi di apertura al mondo esterno
             e fasi di isolazionismo, la cui alternanza desta comunque la sensazione che essi
             utilizzino l’economia mondiale per portare avanti, in primo luogo, i loro inte-
             ressi politici ed economici - nulla di strano, in fondo. Per fare un esempio,  l’uni-
             ficazione  europea  (nella  sua  fase  originaria,  non  oggi…)  e  la  ripresa  del
             Giappone sono stati due ingredienti fondamentali del progetto elaborato dal-
             l’amministrazione statunitense allo scopo di stabilire l’assetto politico ed econo-
             mico del mondo dopo la seconda guerra mondiale.
                  La  stessa  globalizzazione,  fenomeno  caratteristico  del  nostro  tempo,  è
             stata in gran parte elaborata e gestita dagli Stati Uniti, soprattutto a partite dagli
             shock petroliferi degli anni Settanta. Già nel Patto Atlantico del 1949 si trovano
             tracce della creazione di un sistema valoriale ed economico condiviso. Le crisi
             del petrolio, in seguito al crollo del sistema di Bretton Woods nell’agosto del 1971,
             diedero poi avvio alla finanziarizzazione dell’economia mondiale sotto l’egida
             del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e di Wall Street, con tutti i problemi
             che ne sono seguiti.
                  Attualmente, nel mondo la spinta ascendente alla globalizzazione sta forse
             esaurendo la sua forza. Secondo il FMI, infatti, l’economia mondiale, dopo la
             crisi dei mutui subprime iniziata nel 2008, ha iniziato a rallentare e nell’anno in
             cui Trump è stato eletto (2016) viaggiava al 2%, contro la media del 3,5% nel
             periodo che va dal 1960 al 2008. Contestualmente, il tasso di crescita del com-
             mercio internazionale, da una media annua pari al 6,6%, è passato a solo il
             3,4%. Il livello di apertura dell’economia mondiale ha iniziato a diminuire dopo
             decenni di costante espansione.
                  Si  può  affermare,  con  doverosa  prudenza,  che  il  successo  elettorale  di
             Donald Trump sia il frutto del parziale fallimento delle politiche di globalizza-
             zione che hanno sicuramente impoverito i cittadini americani e, in particolare,
             la vitale “classe media”. Gli Stati Uniti, infatti, come del resto tutto l’Occidente,
             subiscono direttamente la concorrenza dei Paesi asiatici e, in particolare, quella
             della Cina che è entrata nel Word Trade Organization (WTO) nel 2001 proprio
             con il consenso degli Stati Uniti, in quanto, allora, l’amministrazione statuniten-
             se aveva l’esigenza di importare merci asiatiche a basso costo e di finanziare con
             titoli del debito il consistente disavanzo della bilancia commerciale, fatto questo


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