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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE




             per il potere che esso conferirebbe alle grandi multinazionali di opporsi - in
             sede arbitrale - alle decisioni dei governi eletti dai cittadini.
                  C’è poi il TPP, il Partenariato Trans Pacifico, che è stato siglato nel febbra-
             io del 2016 da dodici Paesi dell’area, esclusa la Cina, e del quale fanno parte, tra
             gli altri, gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone. Nel gennaio del 2017, Trump,
             fra i suoi primi atti, ha firmato un ordine esecutivo di ritiro degli Stati Uniti da
             questo consesso, dando così inizio alla politica dei dazi americani sui prodotti
             asiatici e su quelli europei che tanto sta facendo discutere.
                  Queste brevi considerazioni di carattere economico, che fanno emergere
             una  realtà  poco  lusinghiera  per  noi  non-statunitensi,  non  possono  tuttavia
             mascherare la realtà di un sistema economico statunitense in crescita, con la
             disoccupazione a livelli non preoccupanti. Nonostante Trump o grazie a lui?
                  Passando alla politica estera, importante nella prospettiva di noi europei e
             poco interessante (in genere) per i cittadini statunitensi, sembra nel complesso
             ben intuibile che l’attuale presidente si collochi un pò al di fuori dell’ormai più
             che consolidata - nei secoli - linea ispiratrice dell’azione statunitense, nota come
             eccezionalismo o destino manifesto.
                  Non è qui possibile dilungarsi su tali concetti, insiti nelle origini della colo-
             nizzazione nordamericana (permeata di cristianesimo riformato) e messi chia-
             ramente a fuoco nel corso dell’ottocento. Basti ricordare che tali teorie ipotiz-
             zano un ruolo salvifico degli Stati Uniti nei confronti di nazioni meno fortuna-
             te, fondato sull’eccezionalità della rivoluzione e della successiva esperienza sta-
             tunitense, capaci di creare la più moderna, efficiente e libertaria delle società
             sulle ceneri del colonialismo britannico.
                  Ovvio che la politica estera degli USA non è da imputare in primis a que-
             sti  richiami  etico-religiosi,  ma  appare  altresì  innegabile  che  questi  ultimi
             hanno  contribuito  alla  formazione  di  molte  decisioni  del  governo  di
             Washington.
                  Pensiamo solo all’entrata in guerra nel 1917 e ai successivi 14 punti del
             presidente Wilson, equa base di una pace accettabile, poi snaturata nei negoziati
             parigini del 1919. Con la Dottrina Truman del 1947, poi resa concreta dall’ERP
             (o Piano Marshall, sotto il profilo economico) e dal Patto Atlantico (in termini
             militari), gli Stati Uniti si assunsero in modo illimitato e formale il ruolo di
             garanti e custodi della democrazia, come la intendiamo noi occidentali. Tutto
             ciò, perché l’Europa, con le due guerre mondiali, aveva dimostrato la propria
             inettitudine a una civile convivenza, e l’Unione Sovietica si proponeva come
             portatrice di una modernità inquietante, inaccettabile sotto il profilo valoriale e
             politico.


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