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LA RESPONSABILITÀ INTERNAZIONALE PER GLI ILLECITI COMMESSI DAL PERSONALE
                 IMPEGNATO ALL’ESTERO IN MISSIONI DI PEACEKEEPING ALLA LUCE DELLA PRASSI


                    Il caso della Somalia ha dimostrato, purtroppo, che non solo i membri
               delle forze di peacekeeping sono potenzialmente in grado di abusare del proprio
               ruolo, ma anche quando lo stato di diritto non è prontamente ristabilito, oltre a
               determinarsi un aumento della criminalità, si compromette gravemente il rispet-
               to delle norme di condotta degli stessi contingenti delle Nazioni Unite .
                                                                                    (64)

               c. genocidio


                    Gli eventi occorsi in Ruanda e in Bosnia (65)  nella metà degli anni Novanta
               hanno imposto un riesame dell’attività posta in essere dalle operazioni di peace-
               keeping in relazione ad uno dei crimini internazionali più odiosi. Nel 1994 l’ope-
               razione  UNAMIR,  in  Ruanda,  non  riuscì  ad  impedire  il  massacro  di  circa
               800mila tutsi e hutu moderati. La stessa drammatica incapacità fu mostrata,
               l’anno successivo, come accennato, da un contingente olandese di quattrocento
               unità, parte della missione UNPROFOR in Iugoslavia, rispetto alla protezione
               della  popolazione  bosniaca  rifugiatasi  nell’enclave  di  Srebrenica,  designata
               come ‘zona sicura’ dal Consiglio di sicurezza . Sulla scia di tali avvenimenti, il
                                                           (66)
               Segretario generale emanò, nel 1999, due rapporti che criticavano la condotta
               tenuta delle Nazioni Unite e dei suoi Stati membri in Ruanda e in Bosnia .
                                                                                      (67)
                    Nella  decisione  sul  Genocidio,  la  Corte  internazionale  di  giustizia  ha
               osservato che l’obbligo di impedire atti genocidiari è un obbligo di condotta e
               non di risultato, sicché esso impone di impiegare tutti i mezzi ragionevolmente
               disponibili in modo da impedire, per quanto possibile, un genocidio .
                                                                                 (68)

               (64) - M. KELLY, op. cit., pag. 213.
               (65) - Per un primo inquadramento dei quali, v., G. CATALDI, il consiglio di sicurezza delle nazioni
                    Unite e la questione del Ruanda, e V. GRADO, il consiglio di sicurezza e la crisi iugoslava, entrambi in
                    P. PICONE (a cura di), interventi della nazioni Unite e diritto internazionale, padova, 1995, rispetti-
                    vamente pagg. 445 ss. e pagg. 149 ss.
               (66) - Consiglio di sicurezza, risoluzione n. 819 (1993) del 16 aprile 1993.
               (67)- Segretario generale, Report on the Fall of  Srebrenica, U.N. Doc. A/54/549 del 15 novembre
                    1999;  Report  of   the  independent  inquiry  into  the  actions  of   the  United  nations  during  the  1994
                    genocide in Rwanda, U.N. Doc. S/1999/1257 del 15 dicembre 1999.
               (68)- Corte internazionale di giustizia, sentenza del 26 febbraio 2007, application of  the convention
                    on the prevention and punishment of  the crime of  genocide (bosnia-Herzegovina c. Serbia-Montenegro),
                    in i.c.J. Reports, 2007, par. 430.

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