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LA PERSONALITÀ PSICOPATICA. VIAGGIO NEL MALE TRA VALUTAZIONE CLINICA,
DILEMMA MORALE E PROTEZIONE SOCIALE
nella testa di psicotici, schizofrenici e deliranti.
La celeberrima Scuola di Psichiatria di Heidelberg fu proprio creata da
Kurt Schneider e dal fenomenologo Karl Jaspers. In quei corridoi e nell’istituto
di ricovero psichiatrico adiacente, dedicò molti anni della sua vita in una ricerca
epistemologica che vedeva centrale una definizione “laica” di psicopatia.
Schneider si volle tenere lontano dall’uso di metri e misure morali per valutare
il comportamento di tali soggetti, ritenendo troppo soggettivo e succube della
cultura corrente collocare paramenti etici aldilà dei quali - od entro cui - il com-
portamento è disprezzabile o apprezzabile eticamente.
L’approccio “asettico” di Schneider lo portò ad elidere la nosografia dei
suoi contemporanei che coloravano patologicamente la psicopatia come una
“malattia morale e mentale”, e provvide a suddividerla in una decina di “classi”
in base al comportamento manifesto, anche se non necessariamente accompa-
gnato da censure criminali. Si consentì però un approfondimento sulle storie di
vita dei pazienti psicopatici che esaminò, ed intuì che v’era possibilità di un
nesso eziologico tra patologia psicopatica ed esperienze irruttive, politraumati-
che e profonde in età infantile.
Il suo lavoro del 1923, “La personalità psicopatica” - che originò da una pre-
cedente ricerca sulle prostitute - divenne una delle fonti dalle quali, tra gli anni
Trenta e Cinquanta, uno studioso statunitense trasse ispirazione per l’attuale
definizione ed episteme della per-sona psicopatica.
Infatti, se la personalitate descritta da Cicerone ha etimologia dall’etrusco
“phersu” e porta ad un concetto raffinato di rispetto e dignità per sé stessi, la per-
sonalità psichica e le sue abnormità, più o meno invalidanti, hanno una origine
etimologica più calzante.
La Per-sona (e quindi persona e personalità) era la maschera degli attori del-
l’antica Roma che - sostituendola - potevano interpretare personaggi diversi.
Ciò che gli spettatori vedevano non era l’attore, quindi, ma ciò che l’attore face-
va apparire dalla maschera.
E come con una maschera, che nasconde il volto, la personalità mostra al
mondo solo ciò che vuole (o ciò che non riesce a trattenere).
Nel più dei casi è la parte migliore di noi stessi, ma non certo quella più
autentica.
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