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STUDI GIURIDICO-PROFESSIONALI



                    La giurisprudenza amministrativa intervenuta nel corso degli ultimi anni (4)
               ha avuto modo di esaminare funditus tali vicende nel contesto di ambienti di
               lavoro militari ed ha più volte rimarcato come nella fattispecie di asserito mob-
               bing il lavoratore che sia un militare deve provare il complessivo disegno del
               datore/superiore gerarchico preordinato alla sua vessazione o prevaricazione:
               non è ravvisabile un danno quando mancano questi episodi sistematici o vi sia
               una logica ed alternativa spiegazione al comportamento del datore/superiore o,
               ancora, ove questi comportamenti siano riferibili alla normale condotta, funzio-
               nale al peculiare assetto dell’apparato amministrativo in questione.
                    La pur accertata esistenza di uno o più atti illegittimi adottati in danno di
               un lavoratore non consente di per sé di affermare l’esistenza di un’ipotesi di
               mobbing, laddove il lavoratore stesso non alleghi ulteriori e concreti elementi ido-


               (4) - Cons. st., III, 12 gennaio 2015, n. 28, in DANNO E RESP. 2015, 3, 315; il Tar adito in primo
                   grado aveva respinto il ricorso proposto da un vicequestore aggiunto della polizia di Stato,
                   collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età, che aveva lamentato di aver subito com-
                   portamenti vessatori, asseritamente qualificabili come mobbing, nel corso della sua lunga car-
                   riera.
                   Il Consiglio di stato ha confermato l’insussistenza del fenomeno del mobbing, considerata la
                   mancanza di prova in ordine alla circostanza che l’Amministrazione avesse inteso perseguitare
                   il ricorrente con provvedimenti ingiustamente afflittivi nell’ambito di una precisa strategia tesa
                   a colpirlo, secondo la prospettazione della condotta mobbizzante esposta dallo stesso ricor-
                   rente, tuttavia, ha riformato la sentenza impugnata con riferimento alla domanda risarcitoria
                   per il danno da dequalificazione, avendo l’appellante correttamente distinto le due forme di
                   danno, quello da mobbing e quello da demansionamento. Nello stesso senso, Tar Bolzano, I, 23
                   settembre 2015, n. 279, in iusexplorer.it.
                   Il ricorrente, ex appartenente alla Polizia di Stato (in servizio dal 15 giugno 1985 al 5 novem-
                   bre  2012),  dispensato  dal  servizio  in  maniera  permanente  per  ragioni  psico-fisiche,  aveva
                   lamentato di essere stato vittima di “mobbing” da parte di funzionari dell’Amministrazione, in
                   un lasso temporale circoscritto tra il 2003 e il 2009, e conseguentemente aveva chiesto la con-
                   danna di quest’ultima al risarcimento del danno sofferto.
                   Il giudice amministrativo ha respinto la domanda non avendo il ricorrente fornito la prova
                   della condotta illecita, cioè dell’esistenza di un sovrastante disegno persecutorio, finalizzato
                   all’emarginazione del dipendente, prova che grava sul ricorrente ai sensi dell’art. 1218 c.c.
                   Invero,  i  singoli  episodi  e  comportamenti  che  il  ricorrente  aveva  posto alla  base  della
                   pretesa risarcitoria avanzata - che, in alcuni casi, avevano dato luogo a sanzioni disciplinari
                   -  rispecchiavano  dinamiche  lavorative  che,  seppure  complesse  e  conflittuali,  non
                   risultavano riconducibili ad un disegno unitario di marginalizzazione del ricorrente, “specie
                   se si tiene conto del particolare rigore che caratterizza lo svolgimento del rapporto di impiego in ambiente
                   militare”.

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