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L’agricoltura italiana, la globalizzazione e la necessità di nuovi modelli di sviluppo
molto diffuso quando, a fronte di situazioni difficili ed in trasformazio-
ne, si tende a giustificare la volontà di non operare scelte particolar-
mente impegnative, in attesa, appunto, che la transizione avanzi e renda
più chiari i riferimenti in base ai quali si dovrà operare. Tuttavia, i
momenti transitori, per essere veramente tali, non possono avere dura-
ta illimitata, ma devono, per contro, giungere a termine e segnare il pas-
saggio da una fase a quella successiva.
L’agricoltura italiana si trova oggi in un tale, importante e decisivo
momento di passaggio. La transizione che ha preceduto questo
momento è stata, principalmente, caratterizzata dalle rapide e profon-
de trasformazioni che, nell’ultimo ventennio, sono intervenute a livello
internazionale e comunitario, determinando l’irreversibile mutamento
di riferimenti che, per lungo tempo, erano apparsi immodificabili.
In particolare, la fase di transizione - che si era aperta, nel 1986, con
l’introduzione, nell’agenda del negoziato dell’Uruguay Round, dell’agri-
coltura tra le materie soggette alle regole multilaterali sul commercio -
è, di fatto, terminata con l’avvio della “riforma Fischler” che, come
noto, ha praticamente posto fine alla lunga stagione delle politiche di
sostegno ai prezzi ed ai mercati agricoli. Con l’applicazione dei regimi
di aiuto introdotti con l’ultima riforma della politica agricola comune
(PAC), gli agricoltori non potranno, infatti, più produrre in funzione
delle convenienze derivanti dai diversi regimi di aiuto comunitario, ma
se vorranno continuare la loro attività dovranno avere come unico
obiettivo quello di “produrre per vendere”.
A seguito di ciò, diviene necessario riflettere riguardo a quali possi-
bilità ha la nostra agricoltura di essere competitiva su un mercato che,
proprio a seguito del completamento del processo di riforma della
PAC, tenderà, inevitabilmente, ad essere più aperto e meno protetto
rispetto al recente passato. Il concetto di competitività è stato - e spes-
so è tuttora - principalmente riferito alla possibilità di riuscire a produr-
re a costi più bassi e, quindi, ad offrire prodotti a prezzi inferiori rispet-
to a quelli praticati dalla concorrenza. È evidente che le possibilità della
nostra agricoltura di essere competitiva su un mercato aperto a livello
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mondiale non possono essere, unicamente, misurate in riferimento al
livello dei costi di produzione, ossia in base ad un parametro che, seb-
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