Page 55 - Rivista silvae aprile 2025 (1)
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chirurgico”, in cui sono spiegate le tecniche dell’autore egizio per le ferite e
               che risale verosimilmente al XV sec. a.C. (PEĆANAC et al., 2013), nonostante
               altri  affermino  che  tale  testo  potrebbe  essere  addirittura  del  XXII-XXVI
               secolo a. C. (ZUBAIR e AZIZ., 2015), essendo noto che l’apicultura in queste
               terre fosse praticata già dal 2400 a. C. (BONETTI, 2014).  Inoltre, anche nella
               tavoletta sumera del 2200 a.C. si descrivono i “tre atti di guarigione” di una
               ferita,  ovvero  lavarla  con  acqua  calda  e  birra,  applicare  la  “malta”  e
               bendarla;  è  ormai  praticamente  certo  che  uno  dei  componenti  di  questa
               “malta” sia il miele, miscelato con grassi animali ed erbe.
               Anticamente, quindi, il miele veniva applicato sulle ferite o in un “intruglio”
               grasso o spalmato su bende di lino, creando così le prime medicazioni umide
               della storia: ancora oggi, infatti, si usano sostanze medicali con sopra una
               garza non aderente (detta storicamente “garza grassa”) ed un bendaggio.
               Ippocrate nel IV secolo a. C. preferiva invece medicazioni asciutte (GAMGEE,
               2013), ma utilizzava anche lui il miele in molti casi (RAYMOND E SUDJATMIKO,
               2012)  ed  anche  i  Romani  e  gli  Indiani  conoscevano  questo  tipo  di
               medicamento.

               I principi attivi del miele utili per la guarigione di una lesione cutanea

               Le proprietà terapeutiche di questo prodotto nei confronti delle ferite sono
               dovute  in  primis  alla  presenza  al  suo  interno  di  acqua  ossigenata  (grazie
               all’enzima glucosio ossidasi che la produce), ma anche alle altre sostanze

               battericide (nei cosiddetti non-peroxide in honey), alla sua iperosmolarità (DEB
               MANDAL  et  al.,  2011), nonché  alla  ricchezza  in antiossidanti, flavonoidi  e
               fenoli  (AL-WAILI  et  al.,  2014),  questi  ultimi  attivi  anche  contro  molti
               microrganismi (Figura 1). Un altro componente antibatterico noto da anni in
               alcuni tipi di miele soltanto (MAVRIC et al., 2008), quali il miele di Manuka o
               quello bianco algerino (TAIBI et al., 2022) è il metilgliossale (MGO), ma è
               sempre più studiata anche una seconda molecola con attività simili, la Bee
               Defensin-1  (PAULUS  et  al.,  2010).  Entrambe  sono  attive  non  solo  sui
               microrganismi, ma anche sui loro biofilms, ovvero quell’involucro glucidico
               che li protegge e li fa riprodurre.





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