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verso terra) in prossimità della base del tronco, avente alcuni centimetri di
               diametro  (mediamente  attorno  ai  tre)  e  della  profondità  iniziale  di  15-20
               centimetri, che in seguito aumentava di lunghezza conseguentemente alla
               crescita e al connesso incremento diametrico della pianta.
               Veniva praticato un solo foro per albero, che serviva per tutta la vita del
               larice a estrarre la resina, utilizzando uno strumento simile a una trivella
               azionata con la forza delle braccia; il foro veniva tappato con un cilindro di
               legno  sia  per  impedire  la  fuoriuscita  della  resina  sia  l’ingresso  di  corpi
               estranei, i quali avrebbero intaccato la purezza del prodotto.
               L’estrazione  della  resina  si  effettuava  utilizzando  un  apposito  attrezzo
               denominato ‘sgorbia’ che la raccoglieva dal foro (allo stato gelatinoso) per
               poi depositarla in un contenitore. La seconda modalità – molto meno attuata
               rispetto  alla  precedente  e  che  si  può  considerare  del  tutto  marginale  –
               consisteva nel togliere la corteccia dell’albero sino al legno; praticare poi una
               doppia  serie  di  incisioni  (utilizzando  uno  scalpello  con  lama  ricurva)  in
               senso  obliquo  facendole  confluire  in  un  canale  centrale  ad  andamento
               verticale alla base del quale veniva posto un recipiente dove si depositava la
               resina.  Periodicamente  le  incisioni  andavano  ‘rinvigorite’  con  una  nuova
               azione  dello  scalpello  e  ne  venivano  incise  delle  nuove  nella  porzione
               superiore  dello  spazio  appositamente  predisposto  togliendo  la  corteccia.
               Tale metodologia era quella utilizzata anche per la pratica della ‘resinazione’
               dei pini. Nelle piante più giovani l’estrazione della resina dal foro veniva
               praticata  con  cadenza  biennale;  l’intervallo  di  tempo  andava  via  via  ad
               ampliarsi in quanto i larici invecchiando producevano molta meno resina e
               pertanto negli alberi ultrasecolari potevano passare anche otto-dieci anni tra
               una estrazione e la successiva. La norma pratica della raccolta prevedeva che
               la stessa avvenisse nei mesi estivi, da giugno a settembre.
               L’utilizzo della resina del larice – nota come ‘trementina veneziana’ per il
               fatto che nella città lagunare vi era ai tempi della Serenissima un fiorente
               mercato  che  interessava  la  gran  parte  dei  Paesi  del  Mediterraneo  –  era
               prevalentemente legato a scopi medicamentosi; veniva infatti impiegata per
               la disinfezione delle ferite e quale antisettico per curare le infiammazioni
               delle vie respiratorie.



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